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Immigrazione e politiche energetiche: in Islanda si scioglie la coalizione di governo

Il primo ministro islandese Bjarni Benediktsson AP PhotoIl primo ministro islandese Bjarni Benediktsson – AP Photo

Europa La mossa del premier Benediktsson è stata dettata dai sondaggi che stimano il "partito dell'indipendenza" sotto il 15%, superato sia dall’opposizione socialdemocratica (quasi al 30%) che dai populisti del Miðflokkurinn (18%)

Pubblicato circa 8 ore faEdizione del 15 ottobre 2024

Quando domenica pomeriggio il premier islandese Bjarni Benediktsson ha convocato una inusuale conferenza stampa nessuno immaginava che avrebbe dichiarato conclusa la sua esperienza di governo. Il leader di Sjálfstæðisflokkurinn (partito dell’indipendenza, di centro destra) ha annunciato di voler interrompere la cooperazione governativa con Framsóknarflokkurinn (partito del progresso, centrista) e Vinstri graen (sinistra verde) e di voler chiedere alla nuova presidente della Repubblica, Halla Tómasdóttir, di scogliere il parlamento e indire nuove elezioni per il 30 novembre.

All’origine della crisi di governo, secondo Benediktsson, ci sarebbero dei forti contrasti soprattutto con la sinistra verde in merito alla gestione dell’immigrazione e sulle politiche energetiche dell’isola. Il leader conservatore era tornato a guidare il paese dei ghiacci ad aprile dopo che la giovane premier rosso verde Katrín Jakobsdóttir aveva rassegnato le dimissioni per concorrere alle elezioni presidenziali di giugno dove però, nonostante i sondaggi favorevoli, era arrivata seconda dietro a Tómasdóttir, business woman, ma soprattutto prima Presidente della Repubblica di orientamento conservatore. Le dimissioni di Jakobsdóttir avevano quindi riportato alla guida del paese i conservatori sempre con la stessa coalizione tripartita che dal 2019 regge le sorti dell’isola atlantica.

La mossa di Benediktsson, che guida il partito di maggioranza relativa all’Alþingi (il parlamento islandese), è stata dettata dai sondaggi che stimano il suo partito sotto il 15%, superato sia dall’opposizione socialdemocratica (quasi al 30%) che dai populisti del Miðflokkurinn (18%). Questa scelta improvvisa pare serva proprio al premier in carica per provare a salvare il suo partito ma, soprattutto, la sua leadership interna. Oltre ai partner di governo neanche gli “indipendenti” erano informati della scelta di Benediktsson di volere chiedere elezioni anticipate mentre era probabile che, se si fosse votato a scadenza naturale il prossimo settembre, la maggioranza del suo partito avrebbe chiesto la sua testa.

Per tutta la giornata di ieri si sono susseguiti gli incontri tra i leader dei partiti presenti in parlamento e la Presidente della Repubblica e tutti quelli di opposizione hanno annunciato di essere d’accordo ad andare velocemente ad elezioni anticipate. Se si votasse a fine novembre però si creerebbe un precedente inedito nell’isola visto che entro Natale deve essere varata la finanziaria; potrebbe succedere, quindi, che la Presidente della Repubblica proponga un governo di larghissime intese fino a gennaio 2025 per traghettare il paese alle urne dopo la manovra economica. Tutti i partiti si stanno già predisponendo alla campagna elettorale e sono in corso in queste ore febbrili riunioni per la definizione dei candidati nelle rispettive liste.

La scelta del premier conservatore oltre ad essere un grosso azzardo per sé e per il suo partito potrebbe decretare la scomparsa dal parlamento degli ex partner di governo rosso verde dato nei sondaggi sotto la soglia di sbarramento del 5%.

Vinstri græn negli ultimi anni aveva rappresentato la più grossa novità politica dell’isola grazie alla leadership di Jakobsdóttir. Dopo la sua uscita di scena, solo la scorsa settimana, Vg aveva svolto il congresso “rifondativo” portando alla guida la volitiva ministra delle infrastrutture, Svandís Svavarsdóttir, che subito ha posto una serie di condizioni programmatiche proprio agli, oramai ex, alleati di governo. Uno dei temi più controversi era il progetto di 4 campi eolici nell’isola che i conservatori volevano appaltare ad aziende private mentre i rosso verdi sostenevano la necessità di mantenerne il carattere pubblico perché “la natura è le sue ricchezze sono di tutti gli islandesi”.

Se VG non supererà lo sbarramento il prossimo parlamento potrebbe privarsi della sua costola più di sinistra rendendo praticamente impossibile, se le urne confermeranno i socialdemocratici come primo partito, formare una maggioranza progressista vista anche l’imprevedibilità del partito pirata dato intorno al 10%. Si aprirebbe, quindi, una nuova ipotesi di governo rosso-blu con il Partito dell’indipendenza a determinare, come da 80 anni, i destini dell’isola.

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