Nel suo Razionalità lo scienziato cognitivo Steven Pinker contrappone un modo di pensiero moderno e basato sulla logica e sul ragionamento a uno delle credenze, dei miti non fondati su fatti, delle illusioni. In fondo la sua è la visione alla base di un pensiero diffuso, che possiamo considerare quello della fiducia nel debunking come strategia di contrasto alle fake news, quindi nella divulgazione scientifica come antidoto alla produzione di teorie complottiste.

NEL SUO RECENTE Miti, meme, iperstizioni (Krill Books, pp. 174, euro 14, con prefazioni di Valentina Tanni e collettivo Clusterduck), Tommaso Guariento prova a creare un puzzle di considerazioni attorno alle funzioni e al ruolo del pensiero irrazionale nella nostra epoca, sia storiografando la genesi di celebri fake news mostrandone alla base anche le pulsioni individuali e sociali che le hanno costruite, sia mostrando la componente irrazionale di cui si nutre il sistema produttivo tecnofinanziario.

Il capitalismo delle piattaforme si basa su sistemi di cattura dell’attenzione e delle emozioni, e in particolare il mondo dei social e delle tecnologie di self-branding si nutrono di processi di estrazione di valore dall’economia reputazionale, creando una dipendenza dopaminica basata sulla produzione di hype, inteso come intensificazione dell’io ma anche come investimento su un sé che aumenta di valore, una moneta simile a quella che garantisce la sopravvivenza di quell’economia della promessa che genera precarietà restituendo forme di retribuzione non economica ma sempre più astratte, più immateriali, reputazionali.

HYPE che non è soltanto un effetto secondario del capitalismo, ma ne è diventato il motore, tanto nel digitale quanto nell’industria culturale e nei mercati finanziari, dove megamacchine dell’hype accrescono il valore di prodotti derivati in un escalation di entusiasmo destinata ad esplodere in crisi economiche globali.
La reputazione, osserva Guariento, è la quantificazione dell’essere visti, ascoltati e apprezzati, quindi una misura della disgregazione sociale, dell’individualizzazione che il design delle piattaforme manipola consapevolmente producendo addictivness della fama. Forme di cura e di cooperazione possono allora diventare pratiche contrapposte alla soggezione dell’auto-rappresentazione e della competizione.

La mancanza di narrazioni condivise, la scomparsa di riti e mitologie capaci di affrontare la complessità dell’esistente e delle possibili relazioni di causa-effetto disseminate in un mondo iperconnesso, sarebbero in fondo alla base anche della generazione di spiegazioni semplicistiche nelle quali i fenomeni globali non possono che esistere se non in quanto volontà diretta ed esplicita di autorità centrali, potenti e nascoste.
Partendo dalla formulazione del Protocollo dei savi di Sion fino al ruolo svolto dall’immaginario memetico di Pepe Magick durante le elezioni di Trump, Guariento mostra come la paranoia complottista emerga in seno all’inquietudine e il timore verso una modernità che mette in pericolo la vita comunitaria quotidiana, o in un certo senso, come risposta a un vuoto di senso dovuto a un disincanto del mondo.

Ciò che sia Umberto Eco che Furio Jesi riconobbero nella cultura di destra è la credenza nelle cause occulte dietro la confusione dei fenomeni reali, quale può essere ritenere la vittoria di Trump un effetto magico dei meme disincarnato dai processi sociali. O pensare che un simbolo agisca come catalizzatore di fenomeni in quanto tale.

ALTRO PERÒ è considerare, anche alla luce delle scienze cognitive e sociali, il ruolo mitopoietico di una simbologia condivisa, e il fatto che tramite processi di individuazione collettiva questi possano generare eventi reali. La finzione e la narrativa speculativa, sono strumenti che insieme alla scienza sociale possono descrivere il presente ma anche essere iperstizioni, previsioni che si autorealizzano perché costruiscono l’immagine del futuro mentre lo si crea. La science fiction cattura, isolandoli, singoli componenti di fenomeni ipercomplessi di un universo intrecciato, favorendo verso una comprensione delle concatenazioni distribuite di causa-effetto.
Un’accettazione della presenza, nella sfera umana, della necessità mitopoietica, insieme ad una cultura della complessità, potrebbe essere il primo passo per costruire strumenti e pratiche utili a confrontarsi con l’epoca tecno-digitale, resistendo alle pulsioni autodistruttive e all’egemonia del realismo capitalista.