Alias

Immagina una canzone da sogno

Immagina una canzone da sognoI Rem nel 1991. «It's the End of the World as We Know It», uno dei brani più noti della band, è nato da un sogno

Storie/Brani ispirati da visioni oniriche. Dai consigli della mamma di McCartney, alla pioggia di sangue di Peter Gabriel, fino al quadro di Chagall per «Volare»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 28 maggio 2022

«I sogni costituiscono il più antico e certo non il meno complesso dei generi letterari», così scrisse l’autore argentino Jorge Luis Borges nella prefazione del suo Libro dei Sogni. Una tesi che egli stesso definì «pericolosamente affascinante». I sogni sfuggono alla logica del conscio, sono senza dubbio parte del processo creativo di un artista, qualsiasi sia la sua disciplina. Sigmud Freud parlava di «Vorstellung», rappresentazione, e vedeva nei sogni un meccanismo di elaborazione mentale non dissimile da una messa in scena teatrale. Le neuroscienze ci hanno poi spiegato che la nostra dimensione onirica è connessa all’attività dell’emisfero destro del cervello che nell’uomo è responsabile dell’immaginazione, della creatività, della percezione della musica. Alcune ricerche più recenti hanno ipotizzato che la capacità di ricordare i sogni e quindi di poterli rielaborare nella nostra vita cosciente, dipenda dalla quantità di un neurostrasmettitore, la dopamina, prodotta dai neuroni. Una delle opere oniriche più note di tutti i tempi è il poema Kubla Khan che Samuel Taylor Coleridge compose nel 1797 dopo essersi ridestato da un sonno profondo indotto dall’oppio. I versi sgorgarono di getto, ma la stesura venne interrotta da un visitatore inatteso, il ricordo di quell’esperienza svanì e l’opera rimase una meravigliosa incompiuta. Troppo oppio e poca dopamina, direbbe un neurologo. In letteratura gli esempi potrebbero però essere infiniti, un sogno di Robert Louis Stevenson divenne lo spunto del suo Dr Jekyll e Mr Hyde, la dimensione onirica ispirò Kafka per La metamorfosi e Dostoevskij per il romanzo L’adolescente, Kerouac tenne un Libro dei sogni.

ANGELI E DEMONI
Nella pittura il surrealismo ha provato a dare forma e sostanza alle immagini immateriali dell’inconscio. Anche nella musica classica le visioni durante il sonno furono di ispirazione per gli artisti. Il violinista e compositore veneto settecentesco Giuseppe Tartini compose Il trillo del Diavolo cercando di ricordarsi le note ascoltate mentre stava dormendo da un demone intento a suonare il violino. La musica pop e rock ovviamente non fa eccezione e sono tantissimi gli esempi di artisti che hanno scritto canzoni nate da esperienze oniriche. L’esempio più universalmente noto è quello di Let it Be dei Beatles che Paul McCartney compose al risveglio di un sonno agitato. Era l’autunno del ’68, la band di Liverpool stava mostrando sempre più crepe, Paul si stava lasciando andare. «Poi una notte – ha raccontato McCartney – ho avuto il più rassicurante dei sogni. Era mia madre che morì quando avevo 14 anni. Mi apparve e c’era la sua faccia, che ormai facevo fatica a ricordare, ma era completamente chiara, soprattutto i suoi occhi. E mi disse, in modo molto gentile: ‘Lascia fare’». Svegliatosi, Paul si mise al piano e le parole vennero spontanee. Ma non era la prima volta che il cantate si era ispirato a una visione. Era accaduto anche tre anni prima per la melodia di Yesterday che McCartney ricordava di aver ascoltato durante il sonno; per settimane pensò si trattasse di una canzone già nota e il brano rimase un po’ nel cassetto per evitare di incorrere in un inconsapevole plagio. Keith Richards ha raccontato nella sua autobiografia la strana genesi, quasi surrealista, di Satisfaction. Il chitarrista degli Stones aveva l’abitudine di addormentarsi con accanto una chitarra e un registratore a cassette acceso: «Quella mattina guardai il registratore ricordando di aver inserito una cassetta nuova di zecca la sera prima, e vidi che era alla fine. Premetti il tasto di riavvolgimento e trovai Satisfaction. Solo un’idea sommaria. Lo scheletro della canzone (…). Poi, quaranta minuti di me che russavo».
Purple Haze, la «nebbia purpurea» di Jimi Hendrix nacque da una visione notturna, in cui il cantante e chitarrista camminava sotto la superficie del mare, l’espressione «scusami mentre bacio il cielo», spesso spiegata con un’allusione alla droga, sarebbe in realtà legata a chi, sott’acqua, cerca di respirare andando in superficie. Ma anche una pietra miliare di epica del rock nasce dall’inconscio. «Stavo suonando in un posto chiamato Roadside Inn e sento un ragazzo che dice alla sua fidanzata mentre ballano, ‘Attenta, non calpestare le mie scamosciate!’ e vedo che ai piedi ha delle scamosciate blu», è il ricordo del sogno che ispirò Carl Perkins a scrivere la canzone Blue Suede Shoes («Le scarpe scamosciate blu») che divenne uno degli inni di Elvis Presley.
I sogni possono essere fortunati, ma ingannatori. Sting ha raccontato come la canzone forse più famosa dei Police, Every Breath You Take, fu composta una mattina, quando si svegliò con in testa il ritornello del brano. Ci volle solo mezz’ora per completare melodia e parole: «Mi sembrava una rassicurante canzone d’amore. Sul momento non capii di quanto sinistra potesse essere, perché parla di controllo, sorveglianza… quasi di un Grande Fratello». Più complessa e affascinante la visione che ebbe Patti Smith e che la portò a comporre Break it Up comparsa nel suo album di esordio Horses: «C’erano alcuni indiani in cerchio. Vidi un uomo disteso su una lastra di marmo. Era Jim Morrison. Era vivo e con delle ali che si mescolavano al marmo. Come Prometeo lottava per liberarsi. Stavo su di lui e cantavo: ‘Break it up!’ (Rompila!)». Anche più inquietante l’incubo che spaventò a tal punto Peter Gabriel da doverlo esorcizzare con il brano Red Rain: alcune figure di vetro si scontravano contro delle pareti che dividevano il mare, riempiendosi di sangue per poi riversarlo come fosse «pioggia rossa», sulla sabbia.

INCUBI RICORRENTI
Alcuni incubi ricorrenti furono l’ispirazione anche per La Villa Strangiato, una suite strumentale in 12 parti composta dai Rush nel 1978; il brano nasce dei sonni agitati del chitarrista Alex Lifeson durante il tour della band dell’anno prima. Dopo ogni incubo Lifeson svegliava i suoi compagni e raccontava loro l’esperienza. Da una band che ha scelto il nome R.E.M., cioè la fase del sonno cosiddetto paradosso che genera l’attività onirica, non possiamo che aspettarci dei brani visionari. L’esempio più noto è la hit del 1987 It’s the End of the World as We Know It, un vorticoso stream of consciousness in cui si affollano immagini e giochi di parole. Ha raccontato Michael Stipe, autore del testo: «Mi trovavo in sogno a una festa di Lester Bangs (il famoso critico musicale statunitense, ndr) ed ero l’unico le cui iniziali non fossero L.B. e così c’erano Lenny Bruce, Leonid Brezhnev, Leonard Bernstein… Tutto questo è finito nella canzone con altre cose che mi era capitato di vedere in Tv cambiando i canali». Uno dei brani più ispirati di Florence and The Machine è Only for a Night. È nato da un’apparizione onirica della nonna della cantante Florence Welch, morta da tempo e comparsa alla nipote per darle consigli di vita.
«Penso che un sogno così non ritorni mai più. Mi dipingevo le mani e la faccia di blu»: anche la più classica delle canzoni italiane è nata da un sogno. È ovviamente Nel blu dipinto di blu (Volare) cantata da Domenico Modugno e composta con Franco Migliacci. Ma il sogno non appartiene direttamente al grande paroliere, ma in realtà a Marc Chagall e alla sua opera onirica Le coq rouge dans la nuit a cui il brano si ispira. Nel quadro, il pittore russo-francese fa rivivere l’amatissima moglie Bella, morta per malattia. Pare che Migliacci nel momento del dormiveglia, dopo una sbronza solitaria presa in un’afosa serata romana di luglio, aprì gli occhi sul dipinto appeso su una parete. Le immagini sognanti del quadro si trasformarono come per incanto nelle parole che tutti gli italiani conoscono.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento