L’iconografia cristiana elaborata a partire da Costantino corredava di attributi divini la figura dell’imperatore, al fine di rappresentarlo a immagine e somiglianza di Dio; un modo come un altro per decretare il fondamento dell’autocrazia attraverso fantomatiche discendenze celesti e richiami simbolici tra particolare e universale. Capita anche nei piccoli imperi del rock, di dover giustificare l’accentramento dei poteri inserendo il sovrano di turno in una sorta di genealogia divina (di stampo più pagano che cristiano, in verità): è il caso di Panic! At The Disco, gruppo musicale progressivamente fagocitato dal leader Brendon Urie, per il quale più che mero progetto solista è ormai un autentico alter ego.

IN TAL SENSO Viva Las Vengeance (Fueled by Ramen-DCD2) è l’apogeo di un assolutismo sancito sin da Death Of A Bachelor (2016), l’autocelebrazione di una nuova star desiderosa di ascriversi fermamente nella linea ereditaria del rock classico.La sua personale imitatio Dei è fatta di riferimenti che punteggiano la tracklist senza lasciare il benché minimo beneficio del dubbio. I segni che costellano il diadema di Urie sono fraseggi, progressioni, timbri, pattern ritmici, citazioni che non hanno bisogno di note a pie’ pagina per riferirsi a Beatles, Thin Lizzy, Cheap Trick, Janis Ian.

In questo senso il disco è è l’apogeo di un assolutismo sancito sin da Death Of A Bachelor (2016), l’autocelebrazione di una nuova star desiderosa di ascriversi fermamente nella linea ereditaria del rock classico.

MA LA CLAMIDE di cui vuole ammantarsi il giovane frontman è certamente quella del dio Mercurio: dei Queen egli fa un autentico pastiche in God Kill Rock And Roll, per poi sfociare nella pura parodia di Sad Clown (quanto ci era mancato questo cliché?), con i «Vincerò» e i maccheronici controcanti «A pagliaccio triste / He not so molto bene» a fare il verso ai «Galileo Figaro» di Mercury.
Glam e fastosità di seconda mano per un album concepito come un musical dalla componente visiva a malapena obliterata. In attesa che il songwriter ritrovi originalità, resta la superba prova del performer, capace di canalizzare la verve di Broadway in un nastro a otto piste (ulteriore rivendicazione di autenticità). Un interprete perfettamente conscio del proprio status — «We are the kids from the underground / We are the new mainstream / We are the mass hysteria», canta in Star Spangled Banger — e della sua caducità da Local God, che stempera l’autocelebrazione con autoironia, irridendo la sua stessa deriva citazionista dopo neanche venti secondi: «Someone did me wrong, stole my favourite song».