Lavoro

Ilva, la rappresaglia della famiglia Riva sulla pelle di 720 lavoratori lombardi

Ilva, la rappresaglia della famiglia Riva sulla pelle di 720 lavoratori lombardi

Lavoro Per Mirco Rota, segretario della Fiom Lombardia, non c'è che una risposta alla decisione di chiudere i cinque stabilimenti: "Si devono attivare subito gli ammortizzatori sociali e bisogna arrivare al commissariamento di tutte le fabbriche del gruppo"

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 15 settembre 2013

Una mascalzonata. Che ha colto di sorpresa i 720 lavoratori lombardi impiegati nelle aziende della famiglia Riva. Non ci sono fabbriche perfette, i primi a saperlo sono gli operai che ci lavorano, ma questa volta lo spettro della disoccupazione si è materializzato da un giorno all’altro in alcune unità produttive lombarde che non erano mai state sfiorate direttamente dal dramma delle vicende tarantine. Aziende economicamente “sane”, dicono industriali e sindacalisti, che dal punto di vista dell’impatto ambientale non sono nemmeno lontanamente paragonabili alla realtà di Taranto.

Sono fabbriche che stanno lavorando a pieno ritmo per soddisfare commesse che devono essere onorate a breve scadenza (50 mila tonnellate di acciaio da consegnare ai clienti entro fine settembre solo negli stabilimenti del bresciano, in Valcamonica). Unità produttive che non possono assolutamente permettersi uno stop delle attività prolungato nel tempo. “Non possiamo perdere tempo – spiega Mirco Rota, segretario della Fiom Cgil Lombardia – per prima cosa si devono attivare gli ammortizzatori sociali per garantire lo stipendio a questi lavoratori che sono stati vergognosamente utilizzati dalla famiglia Riva per fare pressione sul governo, poi, in seconda battuta, bisogna trovare gli strumenti legislativi per arrivare al commissariamento di tutti gli stabilimenti del gruppo. Questa famiglia ormai ha dimostrato di non essere più in grado di gestire la situazione”.

La soluzione sembra a portata di mano. “Serve un provvedimento immediato del governo – dice Nino Baseotto, segretario generale della Cgil lombarda – che determini la ripresa del lavoro in tutti gli stabilimenti già dalla prossima settimana. Il paese non si può permettere di perdere altri pezzi di produzione industriale, soprattutto in una fase dove ancora sono pesanti gli effetti di una crisi che non è affatto terminata”.

Sono cinque gli stabilimenti lombardi che l’altro giorno sono stati chiusi per rappresaglia. Tre in Valcamonica (Sellero, Malegno e Cerveno), uno nel varesotto (lo storico stabilimento di Caronno Pertusella) e l’altro in provincia di Lecco (ad Annone Brianza). Nei cinque stabilimenti si lavorano nastri, barre e semilavorati in acciaio che riforniscono diversi settori che in mancanza di alternative sarebbero costretti a rivolgersi alla concorrenza, con un conseguente aumento dei prezzi che potrebbe compromettere gli affari di molte aziende (dal settore cantieristico alla produzione di automobili, dagli elettrodomestici all’informatica).

Non è un caso se la ritorsione del gruppo Riva è risultata sgradita anche a Confindustria e Federacciai e ha ricompattato i sindacati che, per ora, stanno parlando la stessa lingua. Si dice “unità sindacale”, e già questo è un risultato non del tutto scontato. Così come l’interessamento del presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, che si sta impegnando per fare pressioni sul governo affinché si arrivi ad una soluzione in tempi rapidi. L’unica in campo si chiama commissariamento. I deputati lombardi del Pd, invece, hanno annunciato un’interrogazione parlamentare per velocizzare i tempi di una decisione del loro governo, “la chiusura dei cinque impianti infliggerebbe un colpo durissimo alla già complicata situazione occupazionale della nostra regione”.

Domani pomeriggio, intanto, la famiglia Riva è stata convocata negli uffici del nuovo grattacielo della Regione Lombardia. Sempre lunedì, tutti gli stabilimenti lombardi del gruppo verranno presidiati dai lavoratori.

 

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