Economia

Ilva, la corte svizzera non sblocca 1,2 miliardi dei Riva

Ilva, la corte svizzera non sblocca 1,2 miliardi dei Riva

Il siderurgico tarantino Le risorse erano state sequestrate dalla giustizia italiana, che le aveva richieste a Zurigo. Secondo il Piano ambientale dovrebbero essere utilizzate per ammodernare gli impianti e bonificare i siti inquinati

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 25 novembre 2015

I soldi dei Riva, sequestrati dalla magistratura italiana in una delle inchieste sulla gestione dell’Ilva, per il momento resteranno in Svizzera. Il tribunale federale di Bellinzona, accogliendo il ricorso delle figlie del patron Emilio ha detto no al rientro in Italia di 1,2 miliardi di euro. Quel denaro avrebbe potuto essere utilizzato per le bonifiche dei siti tarantini inquinati, per ammodernare gli impianti e renderli più sicuri per chi ci lavora (l’incidentalità nel sito siderurgico è alta, l’ultimo morto qualche giorno fa). Quel denaro, ancora oggi sarebbe molto utile per la popolazione tarantina.

Lo scorso maggio, il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo aveva “sbloccato” il miliardo e 172 milioni di euro sequestrati nel maggio 2013, nell’ambito dell’inchiesta dei pm milanesi Stefano Civardi e Mauro Clerici, ai fratelli Emilio (morto l’anno scorso) e Adriano Riva e a due loro consulenti accusati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. Nel decreto del giudice di Milano si applicava quanto previsto dalla legge cosiddetta «Salva Ilva», che prevede un sofisticato meccanismo tecnico per permettere al colosso italiano in amministrazione straordinaria di utilizzare quei fondi, sequestrati ai Riva e sbloccati, e destinarli appunto al risanamento e al rilancio dell’azienda, applicando le prescrizioni del Piano Ambientale.

L’ordinanza del giudice era stata inoltrata dalla Procura di Milano a quella di Zurigo che, a sua volta, ha dato l’ok al rientro dei soldi in Italia e ha notificato il provvedimento alla banca Ubs di Lugano, dove le somme erano custodite. A quel punto l’istituto di credito avrebbe dovuto far rientrare i fondi in Italia in modo che venissero impiegati, come prevede la Salva Ilva, per la sottoscrizione di obbligazioni da parte dell’azienda di Taranto. Due figlie di Emilio Riva, però, nel frattempo hanno presentato nei mesi scorsi un ricorso in Svizzera per bloccare il provvedimento con il quale la Procura di Zurigo aveva dato il via libera al rientro dei soldi. E la corte di Bellinzona ha dato ragione alle eredi dell’industriale.

La decisione presa oltralpe è stata contestata dal sindacato: «Questo pronunciamento del Tribunale è inaccettabile – dice in una nota Marco Bentivogli della Fim Cisl – La somma di 1,2 miliardi di euro è stata trasferita illegalmente in Svizzera e va riportata celermente alla sua finalità: la bonifica e l’ambientalizzazione dell’Ilva di Taranto». «Avevamo ricevuto rassicurazioni – aggiunge – anche all’indomani degli accordi Italia-Svizzera. Ci auguriamo che ci sia appello corale affinché si riportino urgentemente quei fondi a Taranto per iniziare a bonificare i danni di un industrialismo attempato e senza scrupoli».

«Una decisione gravissima, sia per le risorse che vengono così sottratte a Taranto e ai tarantini, sia per lo schiaffo dato al Paese. Il governo italiano alzi la voce, se ha davvero interesse a farlo, e almeno una volta si faccia valere a livello internazionale», commenta l’eurodeputata del M5S, Rosa D’Amato.
«È una pessima notizia – dice il segretario dell’Idv Ignazio Messina – Presenteremo un’interrogazione urgente al governo per chiedere di verificare quali siano questi “vizi particolarmente gravi” individuati dal tribunale svizzero a fondamento di questa decisione. E solleciteremo un pressante intervento italiano sulle istituzioni elvetiche».

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