Ilva di Taranto, «mensa più sicura dei pullman»
Green pass Due sale maggiori e un centinaio di refettori organizzati su tre turni, posti ridotti e poca calca. Ma per entrare ci vorrà la carta verde
Green pass Due sale maggiori e un centinaio di refettori organizzati su tre turni, posti ridotti e poca calca. Ma per entrare ci vorrà la carta verde
«Per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale, o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde Covid analogamente a quanto avviene nei ristoranti»: è quanto si legge nella faq pubblicata la vigilia di ferragosto dal governo, con cui ha introdotto l’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro. Mensa uguale ristorante è però una semplificazione che non può valere per realtà della dimensione dell’Ilva di Taranto: una superficie di 15 milioni di metri quadrati, più del doppio della stessa città di Taranto, 8.200 dipendenti, la pausa per il vitto viene suddivisa in due mense e centinaia di refettori sparsi per gli impianti.
PRIMA DELLA PANDEMIA, le mense (la sala più grande è di circa 1.800 metri quadrati) si attivavano in due orari, uno per gli impiegati e l’altro per gli operai: su una capienza di 1.600 posti, venivano serviti circa 1.300 pasti. Con i protocolli di sicurezza, per evitare la calca, le fasce orarie sono diventate tre per circa 500 pasti a turno, con un prolungamento del servizio di un’ora. Nei tavoli da 4 sono state interdette due sedute per lasciare solo la metà dei commensali.
Per i refettori è più complesso: i cosiddetti normalisti anno la pausa di un’ora, i turnisti di mezzora. I primi è facile scaglionarli, per i secondi è più difficile. «La mensa non è solo una pausa per rilassarsi – spiega Francesco Brigati della segreteria Fiom Cgil di Taranto -. Chi lavora in altoforno o in acciaieria a 1.200 gradi ha bisogno di mangiare per reintegrare la fatica e il sudore».
A preoccupare i lavoratori non sono le pause per il pranzo. «Gli operai arrivano dal tarantino, dalla provincia di Bari e di Brindisi – prosegue Brigati -, viaggiano su mezzi pubblici carichi all’80%. Anche all’interno dell’Ilva si muovono sui bus: prima stavamo più distanziati ma l’azienda ha ridotto il numero dei mezzi perché le misure del governo consento la capienza dell’80%. Si tratta di tragitti interni anche di 15 minuti, tutte situazioni che espongono la contagio».
POI CI SONO GLI SPOGLIATOI: la portineria D ne ha due di 5 piani da circa 4mila posti l’uno. Per evitare la diffusione dei contagi, gli armadietti sono stati distanziati, uno si usa e due no, così l’impiego è sceso a circa 1.750 armadietti per spogliatoio, scaglionati sui tre turni, ma restano dei luoghi dove si possono creare momenti di calca, soprattutto all’ingresso e all’uscita. E poi ci sono i pulpiti: postazioni di controllo delle lavorazioni, spazi ridotti occupati da 2, 3, 4 operai a contatto per un turno intero. Mascherine, gel, salviette sanificanti non hanno impedito che si sviluppassero dei casi anche se, dato il numero ridotto di lavorati, è stato facile contenere la diffusione del virus.
«Abbiamo chiesto periodicamente ad Acciaierie d’Italia i dati sui contagi ma, a parte la fase iniziale, non c’è stata risposta – spiega Brigati -, è mancata la trasparenza. Eppure è importante per capire come migliorare la sicurezza in vista dell’autunno». Questione vaccino: «Il sindacato è assolutamente favorevole, l’azienda dovrebbe organizzare una campagna di sensibilizzazione. Quando sono partite le somministrazioni nelle fabbriche, all’Ilva di Taranto avevano fatto richiesta in quasi 3mila ma sono state somministrare solo 500 dosi perché i dipendenti hanno fatto più in fretta andando negli hub delle Asl. Poi più niente. Riprendere le comunicazioni aiuterebbe a coinvolgere chi ancora non si è immunizzato».
ADESSO C’È IL GREEN PASS, una misura per spingere a vaccinarsi: «Se non mi fai stare in mesa dove vado a mangiare, nell’acciaieria? Dovrò avere i buoni pasto? È più pericoloso stare in mensa con i protocolli sicurezza o sui bus e negli spogliatoi? E poi c’è il problema delle ditte in appalto all’interno dell’Ilva – conclude Brigati -. Quella che ha in gestione la mensa ha avuto un caso Covid: un lavoratore cinquantenne che portava i pasti ai refettori è risultato positivo e, purtroppo, è morto. Ci dovrebbero essere comunicazioni e condivisioni più intense tra Acciaierie d’Italia e le società che operano nel perimetro Ilva».
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