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Il virus mortale della famiglia

Il virus mortale della famiglia

Berlinale Al festival tedesco è stato presentato anche il nuovo film di Kurosawa Kiyoshi, «Creepy», tra il thriller e l’incubo

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 24 febbraio 2016

Nonostante vanti un tasso di prolificità che lo avvicina quasi al collega Miike Takashi, Kurosawa Kiyoshi è riuscito progressivamente a essenzializzare il proprio tratto filmico, prosciugando approccio e forme. Da sempre autore dal tratto geometrico, nel cui gesto è possibile rinvenire sia la lezione dei grandi maestri della serie B statunitense (basti pensare all’abilità di rendere elemento formale la povertà di alcuni budget) che a quella della prima nouvelle vague, con l’evidenza del lavoro della macchina da presa che diventa segno perturbante rispetto alla compattezza invisibile dei generi affrontati.

Per Kurosawa i generi sono soprattutto luoghi da esplorare filmicamente, con la macchina da presa. Luoghi dove verificare possibilità di movimenti e di sguardi ma anche ipotizzarne di nuovi. Mai superficialmente metalinguistico o banalmente autoreferenziale, Kurosawa riesce nell’impresa di inquietare e spaventare nell’atto stesso di destrutturare i meccanismi riconosciuti della paura. Pur essendo i suoi lavori essenzialmente discorsi sul cinema, lo sguardo disincantato, eppure malinconicamente umanista, fanno dei film di Kurosawa uno dei luoghi più misteriosamente alieni del cinema contemporaneo.

Il nuovissimo Creepy, presentato fuori concorso alla 66esima Berlinale (perché?), tratto da un romanzo di Yutaka Maekawa, si presenta come un lavoro sullo spazio nel quale si attiva il principio di individuazione che alimenta a sua volta quello di realtà. Il primo movimento di macchina è esemplare. I titoli di testa, una finestra con inferriata, sono il campo nel quale entra un giovane di spalle per poi voltarsi e rivolgersi al pubblico. Senza stacco, la macchina da presa arretra e rivela la presenza di un’altra persona nella stanza: il detective Takakura (Hidetoshi Nishijima).

Un movimento semplice, che attribuisce le posizioni allo sguardo ma dichiara immediatamente ciò che avverrà nel film: una continua ridistribuzione del campo del visibile. Nulla è ciò che sembra. Sopravvissuto a un cruento tentativo di fuga di un omicida seriale, Takakura decide di abbandonare la polizia e dedicarsi all’insegnamento universitario. Cambia vita ma non riesce a resistere alla tentazione di curiosare nei casi irrisolti del collega Nogami. Uno di questi riguarda un’intera famiglia scomparsa nel nulla sei anni prima.

Contemporaneamente, la moglie (Yuko Takeuchi) conosce l’inquietante vicino di casa Nishino (Teruyuki Kagawa) che si rivela da subito scostante e scortese. Kurosawa costruisce la tensione del suo film poco alla volta, lavorando ai fianchi delle forme di socializzazione minima evidenziandone lacerazioni e crepe. Le sue strategie narrative non comportano l’allontanare i sospetti da Nishino, semmai li accentuano sino a toccare dei gradi di grottesco addirittura chabroliano.

Creepy, ossia inquietante, perturbante, è costruito su ciò che ci ostiniamo a volere (continuare a) vedere, rispetto a quanto invece accade davanti ai nostri occhi. Nel rivelare progressivamente la mostruosità di Nishino, Kurosawa ridisegna lo spazio nel quale agisce, e mette in scena anche la fragilità dell’istituzione familiare: le fratture nelle quali virus come Nishino non solo s’insinuano ma trovano paradossali e impotenti complicità. Nishino sembra funzionare come un catalizzatore delle pulsioni di autodistruzione che covano sotto la superficie della famiglia mononucleare.

Gli ambienti domestici diventano dei luoghi cavi, vuoti, nei quali si uccide senza passione e si sopravvive pigramente. Nishino è il principio di riproducibilità tecnica della famiglia mononucleare ridotto alla ripetizione pigramente coatta.

Creepy è attraversato da un malessere profondo. Il mondo che Kurosawa mette in scena è un luogo privo di passione, dove anche l’atto dell’uccidere (sempre delegato da Nishino) è svolto come un semplice passaggio di condizione. Si uccide per passare alla formulazione famigliare successiva. Con lo stesso entusiasmo di una medusa che semplicemente continua a vivere (il documentario che scorre ossessivamente sullo schermo tv di Nishino e che rimanda al film Bright Future).

Creepy inquieta profondamente. L’urlo lacerante che chiude il film non è una liberazione ma la certezza che l’incubo continua. A Kurosawa il merito di avere creato uno dei thriller più sconcertanti degli ultimi anni.

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