Se si taglia il tronco di un albero si possono vedere i cerchi concentrici formati durante la sua vita. Il boscaiolo vi legge i tempi della sua crescita, vi scorge le tracce delle sue malattie, vede i segni delle intemperie che l’anno scosso.

Anche nella storia della società umana vi sono eventi che ne tagliano la struttura e mostrano il modo in cui si è formata e lo stato in cui si trova.

La pandemia che ci sta colpendo è uno di quegli eventi taglienti e mette a nudo lo spaccato del sistema-mondo in cui viviamo. Quel che vediamo è un sistema malato, ormai privo di linfa vitale.

E’ cresciuto avvolgendosi sempre più intorno alla spirale di una logica meramente utilitaria e contingente cui l’hanno costretto i gruppi economici e politici dominanti. Una logica irresponsabile perché incurante dei guasti provocati da sfruttamento e mercificazione sempre più sfrenati delle risorse naturali e del lavoro umano.

La conseguenza è che abbiamo una percezione oltremodo incerta del nostro futuro. Viviamo nell’incubo che il riscaldamento del pianeta raggiunga il limite fatale di 2 gradi centigradi entro trent’anni. Lo squilibrio demografico tra Nord e Sud del mondo, con un aumento previsto della popolazione mondiale di 2,4 miliardi entro il 2050, che sarebbe concentrato per il 97% nei paesi più poveri prospetta un’altra situazione insostenibile. Così come insostenibile sta diventando il dilatarsi della diseguaglianza sociale tra paesi ricchi e poveri, e all’interno sia dei primi che dei secondi.

Sulla pericolosa china di un piano tanto inclinato non meravigliano le grandi difficoltà e le stridenti contraddizioni in cui dibattiamo nel tentativo di arginare l’infezione di un virus sconosciuto e di facile trasmissibilità.

Ed è comprensibile che il trauma che stiamo vivendo ci spinga a considerazioni, critiche e proposte tutte volte ad intervenire sulla contingenza. Ma, così facendo, corriamo il rischio di muoverci a valle dello stato delle cose. In altre parole rischiamo di pensare e agire conformandoci al modo di funzionare del sistema sociale in cui ci troviamo. Quasi dimentichi che proprio l’esperienza che stiamo attraversando mostra tutti i limiti di questo sistema e l’urgenza di modificarlo radicalmente.

Questo evento sta mettendo in tutta evidenza la fragilità della struttura economica, la debolezza dell’organizzazione sociale, per non dire dell’incapacità del ceto politico, quali si appalesano anche nei paesi che consideriamo più sviluppati.

Tutto ciò che questo “evento tagliente” impietosamente mette in evidenza ci deve far riflettere su un limite di fondo della nostra costruzione sociale. Essa è stata edificata sulla falsa contrapposizione tra uomo e natura e tra uomo e uomo come se non fossimo parte della natura e non fossimo accomunati nell’evoluzione, sia naturale che sociale, della nostra specie.

Il prezzo pagato da questa duplice alienazione che ci contrappone alla natura e a noi stessi è ben visibile nella nostra insipienza e impotenza. Accade così che le mura che siamo andati costruendo intorno a noi e dentro di noi sono quelle stesse in cui siamo rimasti prigionieri.

Riappropriaci del nostro futuro richiede perciò un completo cambiamento dei valori, morfologie sociali e modelli di comportamento su cui si basano le mappe cognitive dominanti.

E’, questa, condizione imprescindibile per un mutamento di prospettiva che ci metta in grado di dirigere le nostre azioni non per combattere un male ma per costruire un bene, così da passare dalla lotta contro la morte alla salvaguardia della vita, dalla reazione alla malattia alla difesa della salute, da comportamenti dovuti a costrizioni esterne a comportamenti di autodisciplina, dalla logica della separazione alla tendenza all’interezza