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Il virus come catalizzatore di una coscienza collettiva

Il virus come catalizzatore di una coscienza collettivaProtesta del personale sanitario, Roma

Pandemia La grande frana che la diffusione del Coronavirus sta provocando su un terreno già irrimediabilmente compromesso non potrà certo essere arginata tamponando i suoi effetti a valle, invece che intervenire a monte cambiando i modi di funzionamento del sistema

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 20 giugno 2020

Anche i problemi posti dalla pandemia s’incaricano di mostrarci che il sistema economico-sociale dominante sulla scena internazionale è tanto prepotente e insofferente di qualsivoglia correzione, quanto incapace di far fronte ai drammatici squilibri ecologici, demografici e sociali da esso stesso provocati.

La grande frana che la diffusione del Coronavirus sta provocando su un terreno già irrimediabilmente compromesso non potrà certo essere arginata tamponando i suoi effetti a valle, invece che intervenire a monte cambiando i modi di funzionamento del sistema. E quindi modificandolo profondamente. E la pandemia mostra con luce ancor più sinistra il rachitismo deforme che affligge questo sistema. Dominato da una testa gonfia di ricchezza e potere, ma quasi cieca di fronte al futuro, poggiata su un corpo sociale sempre più gracile e fragile, incapace ormai di crescere in modo sano.

Solo questa debolezza costitutiva spiega come un virus, sia pure insidioso e di facile trasmissibilità, stia mettendo in crisi funzionamento economico, tenuta sociale e azione politica nei paesi colpiti, a cominciare dai più potenti. La ragione di fondo è da ricercare nelle diseguaglianze sociali, non solo tra i paesi più ricchi e quelli meno sviluppati, ma che si allargano sempre più sia all’interno dei primi che dei secondi.

Nei paesi del capitalismo storico quarant’anni di neoliberismo hanno ridotto sistematicamente diritti del lavoro e conquiste sociali raggiunti faticosamente nei decenni precedenti aggravando marginalizzazione e sfruttamento. Sicché la crisi innescata dal Coronavirus finisce col colpire le condizioni di lavoro e di vita di ampie fasce sociali già gravemente indebolite.

Nei paesi meno sviluppati l’assalto predatorio delle multinazionali alle risorse naturali, il supersfruttamento di forza lavoro a basso costo attraverso una massiccia delocalizzazione produttiva hanno immiserito ulteriormente condizioni di vita già arretrate. Ora i contraccolpi di un’infezione che si sta allargando anche in quelle aree possono avere effetti catastrofici. In queste condizioni non è concepibile alcuna analisi o progetto politico in qualsiasi modo subordinati alle strategie ed obiettivi del blocco di potere dominante.
Invece, gran parte dei governi e delle istituzioni internazionali continuano a pensare ed agire muovendosi all’interno del recinto di compatibilità tollerato da questo sistema.

Ma chi è consapevole del fatto che viviamo in un sistema che ha superato da tempo le soglie critiche della sua sostenibilità sa bene che è urgente l’organizzazione di una conflittualità aperta e sistematica. Come lo sanno i milioni di persone che manifestano in ogni parte del mondo contro le devastazioni ambientali, le diseguaglianze sociali, le discriminazioni di genere, di razza e tutte le sopraffazioni che continuamente tentano di soggiogare e dividere il popolo-mondo per distoglierlo dalla costruzione comune di un futuro migliore.

Ebbene, se il pericolo rappresentato da una malattia di rapida diffusione, evento singolo, ma non casuale né isolabile, può fare da elemento catalizzatore di una coscienza collettiva ancora più vasta e coesa, è ora di battersi per un sistema governato da strategie e obiettivi completamente diversi da quelli imposti finora.

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