«Il Viminale è della Lega», il messaggio consegnato di persona da Salvini a Giorgia Meloni, nel di lei studio alla Camera, suona così. Il leghista lo aveva anticipato su Twitter: «Ci vuole qualcuno che torni a proteggere confini, leggi, forze dell’ordine e sicurezza». Con l’alleata è più esplicito e più minaccioso. Dice senza perifrasi che il ministero degli Interni spetta al Carroccio anche se lui personalmente sarebbe pronto a rinunciare. La contrarietà al suo nome del capo dello Stato è ormai nota.

Per la Ue sarebbe un affronto. Francia e Germania scalpitano per far fuori la più votata dagli italiani, non per questioni personali ma perché temono il contagio: si troverebbero servita un’arma potente. In più l’idea di un ministro degli Interni sotto processo innegabilmente stride. Nessun problema per Salvini, purché di un leghista si tratti. Magari Nicola Molteni, già sottosegretario agli Interni. La minaccia invece è affidata a un eloquente «altrimenti…» lasciato in sospeso. Allusione quasi chiara a un possibile appoggio esterno. Basterebbe a far nascere il governo mezzo morto.

L’APPETITO LEGHISTA non si limita a questo. Salvini vuole un altro ministero pesante: quello della Giustizia per Giulia Bongiorno. Per un leader sconfitto sono richieste esose. Meloni, dopo un’altalena di liste dei ministri dalle quali il nome del socio appariva e scompariva come in una porta girevole, era già rassegnata a fargli posto. Gli esiti del tesissimo Federale leghista non lasciavano scelta: «La presenza di Salvini al governo è il punto di partenza della Lega», aveva tagliato corto il vicesegretario Crippa.

Così la leader tricolore si era arresa, bollando come «surreali» e «inventate» le indiscrezioni giornalistiche che la volevano decisa a tenere fuori dalla squadra il capo leghista. Ora il dikat sul Viminale e sulla Giustizia rimette l’ingresso di Salvini in forse, ove la leader di FdI accettasse di concedere gli Interni ma a un altro leghista.

IL COMUNICATO FINALE lo si sarebbe potuto scrivere anche prima dell’incontro: «Grande collaborazione. Unità d’intenti. Grande senso di responsabilità». Altrettanto prevedibile il commento del leader leghista: «Al lavoro non sulle poltrone ma sulle emergenze vere». Qui però una punta di verità c’è. Proprio perché sconfitto così pesantemente Salvini, che ha convocato per oggi la riunione dei gruppi parlamentari, deve dimostrare subito di essere ancora vivo e di poter incidere come prima della batosta. Ieri gli è arrivata la prima buona notizia dalla nottataccia.

Bossi è parlamentare, l’esclusione era frutto di un errore del Viminale. La sconfitta del fondatore era stato uno dei principali capi d’accusa contro la sua gestione. Ovvio quindi il commento piccato: «Quante parole al vento». Ma certo non può bastare. Per reggere la botta ci vogliono quei ministeri pesantissimi e ci vuole qualche conquista rilevante nella manovra.

È un altra nota dolente. Per ora la premier in pectore non vorrebbe andare oltre l’innalzamento del tetto di reddito per la Flat Tax a 100mila euro l’anno. Però, senza interventi sulle pensioni, il primo gennaio sarà ripristinata in toto la Fornero: impossibile immaginare uno scacco più cocente per la Lega. FdI ne è consapevole ma non vuole che una scelta così invisa all’Europa arrivi come decisione a freddo del governo. «Quota 41 la devono chiedere i sindacati. Deve essere frutto di un processo nel Paese», dice un esponente di FdI vicinissimo alla leader.

LE SPINE FORZISTE, pur se meno acuminate di quelle leghiste, sono l’altro ostacolo nella soluzione del rebus. Berlusconi vuole una postazione eminente per Tajani, Esteri o in subordine la Difesa, ma certo non si ferma qui e intorno ai ministeri dai quali più dipende la vita delle persone, Sanità e Istruzione, danzano tre donne: alla Sanità Moratti e all’Istruzione Ronzulli ma l’assessora recalcitra, così la potentissima Ronzulli potrebbe prenderne il posto per essere a sua volta sostituita da Annamaria Bernini. Ma questi per ora sono giochi. Il grosso problema, Salvini a parte, è la casella Economia. Constata l’indisponibilità di Panetta riprende quota lo spacchettamento: Leo alle Finanze e per il Tesoro chissà, forse Siniscalco e persino la conferma di Daniele Franco qualche chance la ha.

«IO SONO SEMPRE ottimista, o non sarei arrivata sin qui», concede ai cronisti la lady tricolore lasciando a sera la Camera. Ma la strada è ancora in salita. «Ci vorrà tempo. Sarà lunga e complicata», fa filtrare in serata via della Scrofa.