Il viaggio fra perdita e recupero
Incontri Una giornata a Roma, presso il teatro Argentina, dedicata alla scrittrice solitaria Fabrizia Ramondino
Incontri Una giornata a Roma, presso il teatro Argentina, dedicata alla scrittrice solitaria Fabrizia Ramondino
A sei anni dalla scomparsa di Fabrizia Ramondino (Napoli, 1936 – Gaeta, 2008), autrice di romanzi, testi teatrali, saggi e poesie, è tempo storicizzarne appieno la fisionomia letteraria: a questo compito ci richiama l’incontro intitolato Fabrizia Ramondino: scrittrice in ’viaggio’, che si svolgerà domani, alle ore 17,30, nella Sala Squarzina del Teatro Argentina di Roma. Animeranno il pomeriggio, moderato dall’italianista Novella Bellucci, studiosi e artisti variamente legati alla scrittrice: Beatrice Alfonzetti e Siriana Sgavicchia, autrici di importanti studî ramondiniani (valga per tutti il Dossier Fabrizia Ramondino apparso nella rivista «Il Caffè illustrato», 2012, curato da Beatrice Alfonzetti), Mario Martone, che visse con Ramondino un intenso sodalizio artistico (scrissero insieme la sceneggiatura del suo primo film, Morte di un matematico napoletano, del 1992; Martone mise poi in scena il testo teatrale di Ramondino Terremoto con madre e figlia nel ’94), gli attori Anna Bonaiuto e Arturo Cirillo.
Il viaggio a cui allude il titolo dell’incontro non è solo quello materialmente toccato in sorte alla scrittrice nell’infanzia (trascorsa a Maiorca poiché il padre era console italiano, all’epoca della guerra di Spagna, esperienza alla base del romanzo Guerra d’infanzia e di Spagna, del 2001) e poi praticato in età adulta (in Germania e in Europa, nel Sahara, in Cina e in vari altri luoghi), né solo quello metaforicamente implicato dalla cultura internazionale assorbita dalla scrittrice in un contesto intellettuale napoletano – la Napoli del periodo bellico è indimenticabile, decadente protagonista del romanzo suo più noto, Althènopis, del 1981 – le cui radici culturali giungevano fino alla Russia rivoluzionaria (il geniale matematico antifascista Renato Caccioppoli, che fu amico dei Ramondino, era nipote di Bakunin).
La poetica del viaggio è esplicitamente assunta dalla scrittrice nei termini della ricerca delle radici, della perdita e del recupero identitario, della frattura tra epoche e generazioni, individuale e collettiva: epos e nostos – racconto sospeso tra favola e storia come mezzo di ritorno alle radici – sono i termini cardine della scrittura ramondiniana, accostata e accostabile a quella delle due «grandi solitarie»: Elsa Morante e Annamaria Ortese.
La legano ad entrambe una lingua dalle risonanze quando ottocentesche, quando espressioniste, la costruzione di figure femminili dalla forza vitale e visionaria, la dimensione favolosa del passato, la pratica del ricordo come costruzione di un epos delle origini incardinato in luoghi reali e fatati al contempo.
Materia epica della narrazione, materia elegiaca del ricordo personale, materia leggendaria di un’identità verso cui tornare sono, presso tutte e tre le scrittrici, Napoli (Althènopis di Romandino, l’Isola di Arturo di Morante, il Cardillo addolorato di Ortese) e la Spagna (Guerra d’Infanzia e di Spagna di Ramondino, Aracoeli di Morante, Il porto di Toledo di Ortese).
La storia è presso le tre scrittrici, catena di destini che si compiono nella ripetizione dell’errore, nel conflitto, nella perdita e poi nel recupero memoriale. Così – sottolinea Martone nelle note di regia pubblicate in calce alla pièce dall’editore Il Melangolo – in Terremoto con madre e figlia Ramondino rappresenta, sullo sfondo di una catastrofe collettiva – il terremoto del 1980 – il rapporto tra una madre e una figlia, tra rovina e ricostruzione, tra passato e futuro, insomma le varie forme di frattura che percorrono l’esistenza collettiva e individuale.
Sulla frattura tra le epoche in Ramondino prevale sempre, tuttavia, il transito dall’una all’altra – il viaggio, appunto. La voce del passato in rovina, cioè la madre alcolizzata protagonista della pièce, non è, infatti, che una libera viaggiatrice; l’alcol, scrive Ramondino in singolare consonanza con quanto del proprio alcolismo scrisse Marguerite Duras nell’Uomo siderale, è una dilatazione del sé: «Come alle contrazioni e dilatazioni del cuore corrispondono, metaforicamente, un distendersi di tutte le membra dopo che si è stati in catene, un allargarsi del respiro (…), così, se si è stretti dall’angoscia, ci si espande verso l’ebbrezza.
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