Politica

Il veto di Salvini sul capo del governo

Il veto di Salvini sul capo del governo – Ansa

Quirinale Il leghista e Meloni consapevoli che un flop di Berlusconi ricadrebbe anche su di loro

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 16 gennaio 2022

Cinque giorni prima di decidere: i più lunghi. Per Berlusconi, che nell’elezione impossibile ci spera ogni giorno di più. Per i suoi alleati, che a questo punto, forse, non sanno più neppure loro cosa sperare. Per come si sono messe le cose un’eventuale vittoria a sorpresa di Berlusconi, non auspicata né costruita da loro, sarebbe ugualmente quasi un trionfo.

Il caos nel campo avversario diventerebbe totale. Le leadership del Pd e dei 5S ballerebbero come un aliante nella tempesta e probabilmente precipiterebbero. Il viatico per le elezioni politiche sarebbe il migliore che si possa immaginare. La nota dolente è che anche la sconfitta di Berlusconi sarebbe la sconfitta di tutti e il vero capolavoro politico realizzato dall’attempato leader azzurro è proprio questo. Fino a un certo punto Salvini e Meloni si sono illusi di poter fare propria la famosa formula «Se vince vinciamo tutti, se perde perde lui». Il Cavaliere, che non è un ingenuo, li ha costretti a esporsi sempre di più e a questo punto se la candidatura virtuale diventerà effettiva a essere sconfitto non sarà più solo un leader ormai privo di senso della realtà, come veniva considerato e descritto sino a poche settimane fa ma l’intera coalizione.

Dunque prudenza vuole che gli auspici siano per il ritiro giovedì. In fondo sia il calcolo delle probabilità che gli esiti della campagna acquisti per ora sono infausti, senza contare le defezioni. Dopo giorni di sussurri Osvaldo Napoli, ex forzista oggi di Coraggio Italia, esce allo scoperto: «Non si può eleggere il presidente con il pallottoliere. Non vedo come il centrodestra possa sottrarsi al confronto largo proposto dal Pd». Solo tra i 31 elettori di Fi sarebbero 15 quelli decisi a bocciare Berlusconi in segreto. Nel complesso c’è chi pronostica addirittura 100 fucilatori: probabilmente è un po’ troppo ma almeno una cinquantina di tiratori vengono considerati plausibili.

Ma anche col ritiro i problemi non mancherebbero. La destra dovrebbe fare una proposta, dopo aver martellato quotidianamente sull’occasione storica per mettere finalmente in campo un proprio nome. Quel nome non c’è e ogni giorno di più si allontana la possibilità di una convergenza in extremis su Draghi. Ieri a prendere la parola è stato solo Salvini e, se buona parte di quel che ha detto è il solito copione, qualcosa di nuovo c’è. Il solito passaggio sull’ «onore e l’onere di avanzare una proposta dopo decenni», il solito monito: «Non accettiamo veti, esclusioni o arroganze».

Poi però il leader della Lega prende di petto i due nomi sui quali punta Letta: «Se qualcuno a sinistra vuole tirare per la giacchetta il presidente Mattarella manca di rispetto soprattutto a lui. Allo stesso modo il premier Draghi è impegnato ad affrontare l’emergenza sanitaria ed economica. Ipotizzare per lui un altro ruolo è una mancanza di rispetto per il premier e per il Paese».

Il veto della Lega e di FdI contro la rielezione di Mattarella non è una novità. Pur se tenuto cortesemente sotto tono è uno dei principali elementi che convincono il presidente uscente a escludere il bis. Quello contro Draghi, invece, non era mai stato così netto. Dato il peso piuma che le parole dei leader hanno nella politica italiana non si tratta di un pollice verso definitivo, che non possa se necessario volgersi in direzione opposta come se nulla fosse. Ma la dichiarazione insolitamente netta rivela che per il dopo Berlusconi Salvini, di conserva con Renzi, spera in opzioni più favorevoli: in un altro e meno lacerante candidato chiaramente di destra.

Di nomi accettabili per la sinistra ce ne sono pochi. L’eterno Giuliano Amato sarebbe accolto con giubilo dal Pd, molto meno dai 5S, ma definirlo di area centrodestra non è possibile. Su Pier Casini pesa la disinvoltura con la quale, dopo decenni a fianco del Cavaliere, è passato a farsi eleggere con il Pd. Elisabetta Casellati avrebbe il doppio vantaggio di essere donna e di poter essere contrabbandata come istituzionale in quanto presidente del Senato, ma la sua parzialità è stata troppo sfacciata per non creare problemi. Gianni Letta sarebbe forse l’opzione più insidiosa: nessuno più di lui è vicino a Berlusconi e tuttavia nessuno come lui è riuscito a imporsi come figura di mediazione, capace di garantire tutti. Nomi, tranne Amato, che risponderebbero a un doppio criterio: un presidente debole la cui nomina servirebbe soprattutto ad avvicinare il centro e la Lega in vista delle elezioni. Requisiti opposti a quelli che può vantare Draghi.

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