Il vertice sulle regioni finisce nel caos. E con Salvini furioso
Governo Lite sulla scuola e sui salari. Ma i 5S contestano l’intera filosofia dell’autonomia rafforzata. «È una presa in giro», sbotta il ministro dell’interno. E se ne va. I governatori della Lega a testa bassa
Governo Lite sulla scuola e sui salari. Ma i 5S contestano l’intera filosofia dell’autonomia rafforzata. «È una presa in giro», sbotta il ministro dell’interno. E se ne va. I governatori della Lega a testa bassa
Per Giuseppe Conte dispensare ottimismo è ormai una professione. Passa la giornata ripetendo che la legge sulle autonomie è «alle battute conclusive». «Si farà di certo» garantisce prima di incontrare uno dei diretti interessati, il governatore lombardo Attilio Fontana. Sarà «armonica ed equilibrata», promette. Di armonia però non se ne è vista neanche l’ombra nel disastroso vertice che, ieri mattina, avrebbe dovuto partorire il testo finale della legge. E’ degenerato in una rissa nella quale l’unico elemento in perfetto equilibrio era la reciproca insofferenza tra i soci di governo. Conte avrebbe dovuto mediare tra la posizione della Lega e quelle dei pentastellati. Invece, come ai tempi del duello sulla Tav, si è schierato con i 5S, facendo infuriare i leghisti. Salvini ha abbandonato il vertice, anche se la rottura è stata camuffata con la necessità di «sospendere» per correre al Senato a votare il taglio dei parlamentari. Sospensione lunga. La riunione prima o poi verrà ripresa ma quando per ora non lo sa nessuno.
QUANDO SALVINI è sbottato rivolto a Giorgetti, «questa è una presa in giro», il vertice si trascinava litigiosamente da circa un’ora e mezzo. La pietra dello scandalo numero uno era la stessa che aveva affossato pochi giorni fa l’appuntamento precedente, l’articolo che permetterebbe alle Regioni di assumere i docenti per chiamata diretta. In corso d’opera piove un altro pietrone, l’idea di differenziare gli stipendi mediante incentivi: «E’ il ritorno delle gabbie salariali», insorgono Di Maio e la ministra per il Sud Lezzi. «Se qualcuno vuole sabotare lo dica apertamente» attacca a testa bassa Salvini e a rispondergli è proprio Conte: «Autonomia sì ma rispettando unità del Paese e Costituzione».
FINISCE COSÌ, in un caos che non permette neppure di riconvocare la riunione. Ma finisce per modo di dire perché la battaglia prosegue poi per ore, a colpi di dichiarazioni sempre più estreme. I 5S parlano di «follia pura e classismo», la Lega, con Salvini e la ministra Stefani, martella sul passo indietro inaccettabile: «Le autonomie sono nel contratto. Se i 5S hanno cambiato idea lo dicano e non si va avanti». Avvelenati i governatori del nord, che Salvini vorrebbe partecipassero al prossimo vertice. Il veneto Zaia sbotta: «E’ una farsa». Il lombardo Fontana, di solito più cauto, stavolta è inviperito: «Il partito del no vuole condannarci all’immobilismo e all’arretratezza. Ora basta».
LA SOSTANZA È ANCHE peggiore dell’apparenza. Il dissenso non riguarda affatto solo singoli punti ma abbraccia l’intera filosofia della riforma. I 5S hanno ripreso coraggio e provano, se non a bloccarla, almeno a ridimensionarla drasticamente. Si sentono più sicuri ora che le possibilità di votare in settembre sono di fatto sfumate. Soprattutto sentono di avere le spalle coperte dal Quirinale. Il Colle non si espone. Mattarella è deciso a evitare di apparire come la controparte di Salvini ma segue con massima attenzione la vicenda. La spiegazione che dà Conte delle sue perplessità ricalca quelle del Quirinale: «Io devo considerare l’ipotesi che a chiedere l’autonomia siano tutte le Regioni, non solo tre». A quel punto lo Stato potrebbe ancora garantire servizi e diritti uguali per tutti i cittadini? Poi c’è quella sentenza che Di Maio non si stanca di sbandierare e che probabilmente gli ha fornito proprio Conte. Firmata dall’allora giudice costituzionale Sergio Mattarella interviene su un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione Lombardia su una materia affine, pur se chiaramente non identica, alla disputa sulla chiamata diretta dei docenti.
INFINE I 5S sono convinti che la stessa Lega, nonostante le pressioni dei governatori nordici, non possa premere sino in fondo l’acceleratore sulle autonomie. Rischierebbe di pagare un prezzo salato nel meridione, con Salvini in veste di «nemico del sud». Almeno su un punto, l’M5S ha ragione. La Lega, pur furibonda come forse mai prima, non pare affatto intenzionata a far saltare il tavolo del governo sulle autonomie. Prima bisogna passare indenni le rapide della legge di bilancio. La resa dei conti arriverà subito dopo.
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