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Il verde ciliegia di Vignola

Il verde ciliegia di Vignola

Agricoltura n progetto della Coop per distribuire la frutta prodotta senza utilizzare erbicidi, tra i quali il glifosato. 116 i fornitori, tra i quali la cooperativa di piccoli produttori Apofruit, che siamo andati a visitare

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 4 luglio 2019
Marta GattiVIGNOLA (MODENA)

Filari di ciliegi circondati dal verde. È così che si presentano i campi coltivati senza l’uso di erbicidi. L’erba cresce anche ai piedi degli alberi, non solo tra un filare e l’altro. È quello che sta avvenendo a Vignola, in provincia di Modena, nei campi di Apofruit, una cooperativa specializzata nella produzione di ortofrutta a livello nazionale. L’azienda è una delle 116 fornitrici di Coop Italia, che hanno aderito alla campagna per l’eliminazione di quattro molecole di erbicidi.

SMETTERE DI UTILIZZARE LA CHIMICA vuol dire cambiare le pratiche agronomiche. «Le piante infestanti rubano sostanze nutritive ai ciliegi», spiega Alberto Grassi, direttore tecnico di Apofruit: «Gli erbicidi sono uno strumento molto pratico per eliminare, in poco tempo, tutte le piante che entrano in competizione con gli alberi da frutto». La cooperativa ha deciso di gestire l’erba e non di eliminarla. L’inerbimento, infatti, svolge un ruolo importante nella salute del suolo. «La presenza di erba garantisce più azoto fissato nel terreno, senza bisogno di concimi», sottolinea Matteo Carboni, tecnico in campo per Apofruit, e aggiunge: «Tiene più arieggiato il suolo e nelle zone collinari limita l’effetto di scivolamento del terreno». Nei campi di ciliegie seguiti da Apofruit invece degli erbicidi viene utilizzato un trincia erba munito di un disco sporgente. Si tratta di un piccolo mezzo meccanico che, grazie a una molla, sposta dentro e fuori dal filare una lama, senza che questa danneggi gli alberi.

Cambiare tecnica di coltura vuol dire anche gestire il tempo della campagna in modo diverso. «Per lavorare l’interfila con il mezzo meccanico su un impianto di poco più di un ettaro ci vogliono 9-10 ore», spiega Matteo Carboni, evidenziando come l’operazione debba essere ripetuta ogni 10-15 giorni. «Con gli erbicidi in 2-3 ore si copre l’intero campo, basta ripetere il trattamento una volta al mese», afferma. «Tagliare l’erba è impegnativo in termini di tempo, ma si guadagna nella programmazione del lavoro», dice Eugenio Casini, agricoltore e socio della Apofruit. «Quando si utilizza la chimica bisogna aspettare alcuni giorni prima di tornare in campo, per evitare l’esposizione. Senza chimica si è più liberi di scegliere come organizzare il lavoro», spiega. Secondo l’agricoltore, che da un anno si occupa di ciliegi ma ha alle spalle una lunga esperienza di potatura, senza trattamenti è più facile seguire i ritmi della campagna. «Ovviamente esiste anche un fattore di benessere per me e per chi mi aiuta nella raccolta», aggiunge il neo contadino.

Le 130 aziende che riforniscono l’impianto di Vignola sono piccole e familiari, alcune possiedono meno di un ettaro. Questo, spiegano i tecnici di campo, ha voluto dire pensare soluzioni personalizzate, a seconda delle caratteristiche del frutteto, dei sistemi di irrigazione e della disponibilità economica.

LE CILIEGIE A MARCHIO COOP sono il primo frutto comparso sugli scaffali dei 1.100 punti vendita, completamente libero da: glifosato, terbutilazina, s-metolaclor e bentazone. In tre anni l’intera offerta di ortofrutta a marchio, 35 filiere, sarà priva dei quattro erbicidi. Per un totale di 100.000 tonnellate. «Agricoltura ad alta sostenibilità», la definisce Renata Pascarelli, direttore qualità di Coop Italia: «Si tratta di un percorso che in questi anni ha portato Coop a eliminare gradualmente pesticidi ed erbicidi seguendo i principi della lotta integrata e anticipando le norme». La direttrice qualità sottolinea come Coop abbia deciso di sostenere l’agricoltura di precisione, che «usa meno concimi, meno erbicidi, meno pesticidi e meno acqua». La selezione degli erbicidi da mettere al bando si è basata sul principio di precauzione: cancellando per prime le molecole più problematiche per l’ambiente, quelle più presenti nei nostri suoli e nelle acque. L’obiettivo finale è che il percorso di Coop venga poi imitato e realizzato anche da molti altri. «Vogliamo dare una spinta al mercato nella direzione della sicurezza alimentare e del rispetto dell’ambiente», sottolinea il presidente di Coop Italia Marco Pedroni.

Un percorso non facile nel mondo dell’agricoltura che rifornisce la grande distribuzione. «Abbiamo affrontato molte discussioni e resistenze perché cambiare è sempre faticoso, ma si guadagna in efficienza» afferma Marco Pedroni, che aggiunge: «Per questo abbiamo proposto ai nostri fornitori e ai 7000 produttori un percorso a tappe». Il sostegno al comparto dell’ortofrutta è arrivato discutendo: tempi, modi, caratteristiche e prezzo dei prodotti. «I fornitori hanno messo in campo uno sforzo importante per il cambiamento», evidenzia il presidente di Coop Italia. «Abbiamo una squadra di tecnici che seguono i prodotti dell’ortofrutta e abbiamo concluso accordi con i fornitori di tecnologie», afferma Renata Pascarelli, sottolineando come siano state valutare le tecnologie migliori per ogni tipo di coltura e per ogni varietà di prodotto.

Dallo stabilimento passano ciliegie, susine e pere, destinate alla grande distribuzione organizzata. Apofruit conta 12 stabilimenti sul territorio nazionale, per una produzione di 290.000 tonnellate. Nei campi di ciliegie si vedono persone intente alla raccolta manuale, con le scale per gli alberi più alti. In media le piante non superano i due o tre metri, permettendo ai raccoglitori un lavoro più agevole e favorendo il controllo sugli infestanti. Il ciclo di produttività di un frutteto è di circa 14-15 anni.

Si chiamano Samba, Ferrovia, Summit, Carmen, Grace Star, Lapins e Sweet Gabriel: sono tutte le varietà che vengono coltivate dai soci di Apofruit. A seconda delle varietà cambiano colore, dimensione e sapore. «Le varietà più antiche sono quelle più soggette alle malattie e agli sbalzi di temperatura», spiegano i tecnici della cooperativa. L’azienda, in collaborazione con l’Università di Bologna, investe molto nella ricerca di varietà più resistenti, attraverso l’incrocio, lo studio, la selezione e la verifica del loro adattamento in campo. «Avere varietà resistenti aiuta a ridurre l’impatto ambientale», spiegano.

LA PRINCIPALE MINACCIA alla riuscita di un buon raccolto, secondo Alberto Grassi, direttore tecnico Apofruit, è quella climatica. Si chiama cracking ed è la crepatura dell’epidermide del frutto a causa dell’assorbimento dell’acqua avvenuto a maturazione ormai completata. Danni rilevanti sono determinati anche dagli sbalzi di temperatura e dal troppo caldo o freddo in periodi delicati di sviluppo del frutto. Anche l’umidità persistente può danneggiare le piante più giovani. «Si stanno estremizzando gli eventi atmosferici», denuncia il direttore tecnico. «A maggio c’è stata una piovosità mai registrata prima, a memoria delle datazioni scritte», sottolinea Alberto Grassi facendo riferimento alle perdite produttive. «Quest’anno nel nostro territorio abbiamo perso circa il 40% del prodotto, nelle varietà precoci quasi l’80%». Un danno economico e ambientale. In molti casi le ciliegie sono marcite sull’albero perché non valeva la pena raccoglierle.

ANCHE PER COMBATTERE L’IMPREVEDIBILITÀ del clima esistono dei sistemi. Apofruit ha deciso di sperimentare una copertura per i filari, composta da un tettuccio anti-pioggia e da reti laterali a maglie molto strette, come fossero una zanzariera. «Garantisce una duplice funzione: ripara dalla pioggia e impedisce l’ingresso della mosca mediterranea e dalla Drosophila Suzukii, un moscerino giapponese», spiega il direttore tecnico della coop. Il sistema, oltre a proteggere dalle precipitazioni, sostituisce l’uso di pesticidi, ma necessita di investimenti: «Ci vogliono almeno otto anni per rientrare delle spese», specifica Alberto Grassi. Anche l’agricoltura che si rivolge alla grande distribuzione punta a considerare l’ambiente nel suo complesso, come sottolinea il direttore tecnico della cooperativa ortofrutticola: «Consideriamo il suolo come un organismo vivo: più è in salute, più sta bene chi ci vive sopra».

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