Le principali città paleovenete sorsero lungo alcuni grandi fiumi che si aprivano a ventaglio nella pianura padana. Strabone, con l’occhio attento del geografo, annotava che «le città esistenti, al di là delle paludi, hanno delle meravigliose vie di navigazione fluviale e tra queste soprattutto il Po». Il fiume al confine del paese dei Veneti nell’antichità arrivava sino ad Adria che al mare Adriatico diede il nome. L’Adige invece diede il nome e fu determinante per lo sviluppo dell’antica Atheste, l’attuale Este, che attraversava col suo ramo settentrionale. La presenza di un grande fiume è il primo elemento in comune che Venezia, Adria ed Este hanno con l’antico Stato di Chu che ad ottomila chilometri di distanza sorse in contemporanea (770-221a.C.) lungo le sponde del Fiume Azzurro, in quella che poi sarà la Cina. Nato come piccolo regno militare, Chu si espanse al punto da diventare, sul finire del Periodo delle Primavere e degli Autunni (770 – 454 a.C.), una vera e propria potenza e visse il suo momento di massimo splendore nel successivo Periodo degli Stati Combattenti (453 – 221 a.C.). La sua estensione copriva un vasto territorio della Cina centro-meridionale attraversato in parte dal maggiore dei fiumi cinesi, lo Yangzi, conosciuto in Occidente come il Fiume Azzurro, uno dei maggiori serbatoi storico-culturali dell’ex celeste impero. Chu comprendeva le odierne province di Hubei, Hunan, Henan, Chongqing e parte del Jiangsu compresa l’attuale Shanghai.
Veneto e Stato di Chu furono territori fertili che nel primo millennio a.C. diedero vita a due grandi civiltà creatrici di manufatti di straordinaria raffinatezza. In comune hanno anche l’epilogo poiché alla fine entrambi vennero assorbiti da realtà molto più potenti come l’Impero Romano per i Veneti, il futuro Celeste Impero per il regno di Chu.
Un accordo tra Italia e Cina, e più precisamente tra il Veneto e la Provincia cinese del Hubei, consente ora per la prima volta in Europa di ammirare le sorprendenti testimonianze della civiltà dell’antico Regno nella mostra «Le meraviglie dello Stato di Chu» che dal 13 marzo al 25 settembre 2016 si potrà visitare in tre sedi, il museo nazionale Atestino di Este, il museo archeologico nazionale di Adria e il museo d’arte orientale di Venezia. In esposizione importanti reperti archeologici rinvenuti nella provincia di Hubei, cuore dello stato di Chu, durante uno scavo archeologico che nel 1978 ha portato alla luce i corredi funerari della tomba del marchese Yi di Zeng, risalente al 433 a.C., e nel 2002 quelli di un generale decapitato perché ritenuto infedele, ma poi riabilitato e sepolto con tutti gli onori. In mostra contenitori rituali in bronzo, strumenti musicali, armi e oggetti preziosi in giada e legno laccato che rappresentano come spiega Adriano Madaro, curatore della mostra assieme a Wang Jichao, la supremazia terrena attraverso la guerra e il consenso celeste attraverso l’offerta del bene più prezioso. Le particolari condizioni di deposizione, nell’ambiente umido dei laghi affacciati sul Fiume Azzurro, hanno consentito una straordinaria conservazione di legno, vernice, cuoio e seta arrivati a noi praticamente intatti dopo ben 2500 anni. A rendere del tutto eccezionale questo progetto (promosso, per parte italiana, dai Comuni di Este e di Adria, dalla Soprintendenza Archeologia del Veneto, dal Polo Museale del Veneto, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e dalla Regione Veneto) è l’esposizione dei reperti orientali in dialogo con le coeve testimonianze degli antichi veneti che pur in contesti tanto lontani ma dalle evidenti analogie, risultano sorprendentemente simili.
Ad Este, cuore della storia dei Veneti antichi, si possono ammirare tre strumenti musicali, due campane niuzhong e yongzhong e un’arpa, e con esse la tradizione musicale dello stato di Chu, ricostruita in forma multimediale dal Museo dello Hubei. Le campane di bronzo (niuzhong e yongzhong) componevano set di diverse decine di pezzi e di differenti dimensioni, ed andavano a creare un unico enorme strumento musicale con tanti musicisti quante erano le campane da percuotere. Gli esperti musicologi sono riusciti, secondo la disposizione delle campane, a ricostruire le melodie e addirittura la musica rituale di oltre venticinque secoli fa. Nel museo che ospita la preziosa situla Benvenuti(650 a.C.) espressione della aristocrazia paleoveneta, in esposizione anche i bronzi rituali ding e dui, indicatori della ricchezza e del prestigio della classe dominante. Gli oggetti erano suddivisi in due grandi categorie: vasi sacrificali e recipienti di uso comune. I primi (denominati ding, dou, fu, dui, zun…a seconda della forma) erano riservati ai riti in onore degli antenati o di divinità da placare; gli altri, chiamati genericamente yanqi, erano utilizzati per gli usi quotidiani (contenere l’acqua, le vivande, le granaglie, ecc). I vasi sacrificali a loro volta erano riservati al vino da cerimonia, all’offerta delle carni cotte di animali, ai cibi rituali. La grande varietà delle dimensioni e delle forme, oltre alle particolari lavorazioni, cesellature, sculture dei bronzi, sono una caratteristica del vasellame proveniente dalle tombe dello Stato di Chu. Lo stile particolare, ad esempio, dei vasi per le libagioni rituali in mostra ad Este, sono generalmente a «pareti quadrate» invece che rotonde, panciute. Vasi analoghi venivano realizzati in legno e poi laccati. A proposito di lacche: a Chu non si laccavano solo il legno e il bambù, ma anche il bronzo, la terracotta e il cuoio, con risultati eccezionali. La conservazione stessa dei colori è a dir poco sbalorditiva. Infine le giade. In Cina da tempi immemorabili la giada più preziosa è ritenuta quella del Xinjiang, definita «imperiale». Re, nobiltà, alti funzionari civili e militari, esibivano le giade sui loro abiti come simboli del loro status. Sul corpo di un defunto, poi, la giada era usata come «salvacondotto» per l’Aldilà.
Ad Adria viene invece sottolineata l’«Arte della Guerra», che il famoso testo di Sun Tzu teorizzava proprio in quel periodo: in mostra alabarde, una stupefacente balestra lignea, armature e parti di un carro da guerra. Manufatti che corrispondono alla fase classica ed ellenistica di Adria Antica, con la quale concorrono sorprendenti consonanze: il ruolo determinante del fiume, ornamenti in pasta vitrea delle stesse fatture, l’uso di deporre nelle tombe prestigiosi oggetti da corredo destinati al cibo ed al vino e non ultimo il rituale di sepoltura del carro da guerra che con sorprendente analogia troviamo nella «Tomba della biga», risalente alla prima metà del III sec. a.C., che oltre ai resti del carro a due ruote conserva ad Adria anche gli scheletri di tre cavalli di eccezionali dimensioni.
A Cà Pesaro, infine, suggestivo il confronto tra il vasellame rituale della Cina antica e i bronzi Qing che riprendono le antiche forme e testimoniano il gusto collezionistico della corte e dell’aristocrazia cinese del XVIII e XIX secolo. Il visitatore potrà così fare un confronto diretto tra i bronzi degli Zhou orientali e quelli Quing ( 1644-1911)del Museo d’arte orientale.
La potenza militare di Chu nell’arco di mezzo millennio si trasformò in potenza culturale ma alla fine si estinse a causa di una diffusa corruzione. Nel 221 a.C. il suo potente vicino, lo Stato di Qin, alla conclusione di una serie di guerre vittoriose sui sei Stati confinanti, dei quali Chu era stato quello dominante per parecchi secoli, spazzò via tutti. Il suo giovane e ambizioso sovrano, Qin Shi Huangdi si autoproclamò Primo Augusto Imperatore e in appena 15 anni creò l’Impero Cinese, costruì la Grande Muraglia e il Grande Canale Imperiale, unificò i pesi e le misure, costruì la sua mitica tomba seppellendovi seimila guerrieri e cavalli di terracotta, cancellò perfino la memoria dei suoi ex vicini. L’odiato Regno di Chu entrò nella leggenda, non c’era nulla che testimoniasse ciò che fu. Solo ventidue secoli dopo con la scoperta di alcune tombe imperiali si ritornerà a parlarne.