Il venerdì non è nero, Draghi scavalca la prova green pass
Il giorno più lungo Al vaglio il prezzo calmierato dei tamponi, sul lasciapassare ai vaccinati con il russo Sputnik si cerca un’intesa con l’Ue. Meloni parte lancia in resta, chiede di «far dimettere oggi stesso, per manifesta incapacità quando non per spaventosa strategia, Luciana Lamorgese»
Il giorno più lungo Al vaglio il prezzo calmierato dei tamponi, sul lasciapassare ai vaccinati con il russo Sputnik si cerca un’intesa con l’Ue. Meloni parte lancia in resta, chiede di «far dimettere oggi stesso, per manifesta incapacità quando non per spaventosa strategia, Luciana Lamorgese»
Alla fine del giorno più lungo a palazzo Chigi si respira aria di vittoria. La preoccupazione era reale, anche se il bollettino di guerra diramato alla vigilia dal Dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale calcava i toni a bella posta, un po’ per seminare allarme, tattica egregia per diminuire i rischi, un po’ per coprirsi le spalle dopo il disastro della settimana scorsa a Roma. Ma pur se non estrema la paura era reale. Anzi le paure: non solo quella di possibili violenze ma anche quella di blocchi molto significativi della produzione e quella di disfunzioni organizzative gravi.
È PRESTO PER DIRE che le nuvole si sono diradate ma di certo la giornata di ieri segna un punto forse decisivo a favore del metodo Draghi. Non tutto è filato liscio, ma di grossi guai non se ne sono registrati e per palazzo Chigi è molto più che sufficiente.
IL METODO DI DRAGHI non è nuovo: procedere spedito, senza arroganza ma anche senza mai deflettere dalle decisioni prese, ignorando con garbo i mugugni e le critiche. Stavolta però aveva di fronte non questo o quel partito della maggioranza ma un fronte composto da buona parte di quella maggioranza, spaventata per la protesta sociale, dai sindacati e da una percentuale di forza lavoro fuori da ogni controllo istituzionale, minoritaria ma non trascurabile. La scelta di non offrire a quel composito schieramento neppure un mignolo, nemmeno uno sconto sul prezzo dei tamponi, è politica. Draghi, al suo primo confronto davvero teso con una protesta sociale, ha voluto far sapere subito che lui intende andare avanti sulla sua strada comunque: meglio che nessuno si faccia illusioni.
È SIGNIFICATIVO il fatto che alcune delle ipotesi messe in campo per “attenuare la tensione”, prima fra tutte la diminuzione del prezzo dei tamponi, Draghi le sta prendendo in considerazione sul serio e lo stesso Speranza, anima rigorista del governo, non è contrario. Lo sconto quasi certamente arriverà: non si sa ancora quando e di quanto, se riguarderà, come è probabile, solo i maggiorenni che oggi pagano 15 euro a tampone o anche i minorenni per i quali il calmiere a 8 euro è già in vigore. Ma sono particolari. L’importante, quello che ha spinto il governo a mostrarsi in prima battuta inflessibile, è che la misura, se e quando arriverà, non possa essere messa in relazione con le manifestazioni e gli scioperi. Deve essere, se non proprio una concessione, almeno una scelta autonoma del governo. Non un cedimento.
PER LA stessa ragione il governo appare tassativo su un altro capitolo delicato: la concessione del green pass ai lavoratori stranieri vaccinati col russo Sputnik o il cinese Sinovac. Sono circa 100mila persone, senza contare il problema dei camionisti che arrivano dall’est anche loro senza green pass per la stessa ragione. La questione è in realtà molto più aperta di quanto le comunicazioni ufficiali del governo, tassativamente ostili, facciano credere. Quanto meno ci si sta lavorando. Il problema è che Draghi non intende muoversi senza prima un accordo, formale o informale, con la Ue, che sta a propria volta verificando la possibilità di introdurre una sorta di reciprocità, che renderebbe validi i vaccini dell’est qui e viceversa.
NEL COMPLESSO c’è una sola macchia nella giornata vittoriosa del governo. Però bella grossa. All’origine la rivelazione per cui il corteo, anzi il «percorso dinamico», dei manifestanti fino alla sede della Cgil era stato autorizzato dalla Digos, che però sostiene di averne prima parlato con imprecisati “superiori”. La richiesta partiva proprio dal forzanovista Castellino: la aveva giustificata con l’intenzione di chiedere un incontro con un dirigente sindacale.
MELONI PARTE lancia in resta. Chiede di «far dimettere oggi stesso, per manifesta incapacità quando non per spaventosa strategia, Luciana Lamorgese». La leader di FdI insiste nell’insinuare il sospetto che all’origine dell’autorizzazione ci fosse un piano per danneggiare il suo partito, ed è una tesi risibile. Ma sul versante del grossolano errore le cose stanno diversamente. Il guaio è serio e la vicenda tornerà a tenere banco la settimana prossima, quando si discuteranno le mozioni sullo scioglimento di Forza nuova.
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