Il Vangelo di James in musica secondo Meshell Ndegeocello
Note sparse «No More Water: The Gospel of James Baldwin», un album nel centenario dalla nascita. L’artista americana propone una rilettura dei temi etnici, politici e di genere dello scrittore di Harlem
Note sparse «No More Water: The Gospel of James Baldwin», un album nel centenario dalla nascita. L’artista americana propone una rilettura dei temi etnici, politici e di genere dello scrittore di Harlem
Proprio come in un lungo processo di scrittura evangelica, l’epica afroamericana continua ad evolversi rivisitando il proprio passato alla luce delle vicende attuali, in un mutevole palinsesto di contenuti ed espressioni. Se un decennio di Black Lives Matter ha senz’altro impresso una nuova spinta alla canzone di protesta, le emergenti tensioni di genere, lungamente nascoste sotto il grande ombrello della questione razzista, impongono un allargamento di campo tanto per i nuovi linguaggi quanto per le riscritture.
Nume tutelare del movimento per i diritti civili, già all’inizio degli anni Cinquanta James Baldwin aveva consacrato la musica quale unico grande mezzo con cui gli afroamericani potevano raccontare la propria storia: nessuno dei suoi romanzi, affermava, avrebbe mai eguagliato la carica espressiva di una Billie Holiday o di un Louis Armstrong. A cento anni esatti dalla nascita sono proprio i suoi scritti a trovare nuova forma di espressione in musica grazie a Meshell Ndegeocello, che celebra la ricorrenza con l’album No More Water: The Gospel of James Baldwin (Blue Note Records), evoluzione della pièce teatrale Can I Get A Witness? (2016) e dialogo intertemporale tra la musicista newyorkese e lo scrittore di Harlem emigrato a Parigi, due figure accomunate dalla personale resistenza contro il razzismo e l’omofobia.
RICHIAMANDO il libro del 1963 La prossima volta il fuoco, il titolo ne completa la citazione biblica («Dio diede a Noè il segno dell’arcobaleno / Non più acqua, la prossima volta il fuoco!») riaffermando nella duplice lettura del termine gospel la storica inestricabilità tra la black music e la cristianità afroamericana, della quale portano i segni tanto l’opera di Baldwin — figlio di un predicatore pentecostale, salito egli stesso sul pulpito — quanto quella di Meshell: non è un caso che sia un nevrotico organo da chiesa (Travel) ad aprire una liturgia collettiva scandita da sermoni in spoken word, inni soul, sonate elettroniche e alternative jazz (genere che lo scorso anno gli è valso un Grammy per The Omnichord Real Book).
ASSIEME al chitarrista e co-produttore Chris Bruce, Ndegeocello riunisce lo stesso gruppo di lavoro dell’album precedente (Abe Rounds alla batteria, Jebin Bruni alle tastiere, Josh Johnson al sax), integrandolo con le voci del cantante Justin Hicks, dello scrittore Hilton Als e della poetessa Staceyann Chin, che mediano i testi originari rimettendone in scena i contenuti etnici, identitari e di genere. Raise The Roof vede proprio Chin scagliarsi contro politici e poliziotti sulla cui coscienza giacciono i «black bodies falling like leaves in late August» a Ferguson, Cleveland e Staten Island; un approccio che affilando le lame di Nina Simone e di Gil Scott-Heron tocca il suo acume in Tsunami Rising, epopea black dalla tratta degli schiavi al movimento MeToo nella cui costruzione di senso il fraseggio spezzato del sax di Johnson non è meno significativo della parola. In Pride I e Pride II è la voce di Meshell in persona a sillogizzare la propria omosessualità armonizzandola con quelle dello stesso Baldwin e di Audre Lorde, altra guida spirituale di Harlem che completa la triade maggiore di quest’opera.
LA CUI COMPLESSITÀ porta ad aggiornare anche l’idioma del folk acustico in The Price Of A Ticket (in cui canta «Non lasciate che mi abbattano e io muoia») e nella prima parte di Thus Sayeth The Lorde, modelli di un nuovo modo di intendere gli inni di protesta con cui Ndegeocello conduce l’ideale corteo ai piedi della croce riprendendo del gospel l’essenza collettiva (nella conclusiva Down At The Cross).
«La storia dei neri d’America è la storia dell’America. E non è una bella storia», scriveva James Baldwin. Alla vigilia dell’ennesimo turning point di questa epopea, la lucidità e la bellezza con cui Meshell riesce a tirarne le fila in poco più di un’ora e un quarto è semplicemente disarmante. In attesa di scoprire quali strade prenderà dopo le prossime elezioni statunitensi, questa nuova black music è ancora il grande mezzo per raccontare la storia afroamericana. Punge e brucia, proprio quando sembra lenire le ferite, negando col fuoco la certezza del sollievo. La prossima volta l’acqua?
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