Le cronache della Storia sulla relazione tra il poeta malato di angoscia del vivere, Henrich von Kleist, e Henriette Vogel a cui i medici avevano diagnosticato un cancro, molto hanno detto, e la loro morte, un doppio suicidio sulle rive del berlinese lago di Wannsee ha attraversato i secoli nutrendo il mito romantico. Di certo c’è il duplice colpo di pistola tirato una gelida mattina di novembre del 1811 da von Kleist alla donna e poi a se stesso.

Quale sentimento li aveva uniti nell’ossessione di questa morte, che era ormai il solo pensiero del poeta, sfinito dai debiti, dalle incomprensioni verso la sua arte, dalle violente critiche, e da quella nausea esistenziale che non gli permette di appartenere al mondo. La stessa distanza che sente la donna per quella sua malattia che la esclude dal futuro non lasciandole scampo. Un’amicizia, dunque, o un Amour fou? Nonostante il titolo scelto per il suo nuovo film – al Certain regard – Amour fou, appunto, Jessica Hausner spoglia di qualsiasi sfumatura romantica l’incontro tra Henriette e von Kleist, prediligendo la follia (lucida) di questa relazione messa a nudo nel suo paradosso più che nell’aura del gesto sublime. Ma la regista austriaca molto amata dal Festival – era qui anche con l’appasionante Lourdes – predilige la cifra del disvelamento ironico, dell’analisi (freudiana) delle mitologie, e della rappresentazione sentimentale, per mostrarne il lato crudele, e forse comico.

La chiave che sceglie per entrare nell’universo di von Kleist è quella della sua stessa opera letteraria, e in particolare la sua Marchesa Von O. Come il conte che «penetra» di nascosto la marchesa così von Kleist si insinua nel cuore di Henriette, intuendo prima ancora della malattia fisica – nella versione di Hausner, un clamoroso errore medico – quella della sua anima. Che, addirittura, lui provoca instillandole lo stesso disgusto che prova nei confronti dell’immagine della sua vita, di quelle serate in società, con lei che canta e la figlioletta che suona, e gli altri applaudono con affettata cortesia.

«Se vuoi andare via con il poeta dimmelo, non ti ostacolerò», dice a Henrietta il marito che la malattia mortale ha reso particolarmente aperto verso la moglie, tanto da non cogliere neppure l’esitazione disperata del suo ultimo saluto, per l’escursione salubre con von Kleist verso la morte. Lei risponde che no, che non potrebbe mai vivere insieme a qualcuno che pensa solo a se stesso.

Vampirismo dell’artista, o vampirismo dell’uomo, di un ragazzo la cui tristezza ne ha segnato il volto prima del tempo, e che nell’iconografia di Hausner appare sempre ai margini di quel mondo aristocratico dove si muove tollerato ma non capito né apprezzato. Il suo grande amore è la cugina che lo respinge, o meglio respinge con angoscia l’idea di morire insieme, perchè ha paura di morire da solo. Questo gesto è per lui un’elevazione, una specie di passaggio privilegiato all’eternità. La cugina lo congeda, lei vuole sposarsi, Henriette lo accoglie alla diagnosi del medico, e quando il corpo lascia emergere la sua disperata, e sconosciuta fragilità.

Hausner conferma il talento che la fa essere oggi una delle cineaste di punta in una ricerca che mette costantemente alla prova i bordi dell’immaginario (ci si chiede perché non sia in concorso),

Svuotare del romanticismo l’Amour fou, le permette di rendere la malattia del personaggio che rende protagonista, Henrietta, assolutamente contemporanea nei movimenti interiori, in quell’incertezza quasi dissonante che corriponde al movimento narrativo del film.

E così la rappresentazione dei tempi, nelle inquadrature di raffinata precisione (quasi di lezione straubiana) ispirate alla pittura dell’epoca, in cui le conversazioni di società assumono la forma di un rituale universale. E insieme ci raccontano l’epoca, le trasformazioni della Prussia dopo la Rivoluzione francese, con l’aristocrazia che lamenta la fine dei privilegi e il fatto di dover pagare le tasse. Motivo che ha spinto a concedere la libertà ai contadini, costretti così anche loro a pagare, ai loro occhi innaturale: non siamo tutti uguali, c’è chi non sa essere libero come il popolo chiosa uno dei nobili.

Von Kleist col suo disprezzo in fondo è un uomo come tutti, prevaricatore e innamorato della propria idea di amore che nemmeno gli fa scorgere l’altro. Alla povera Henriette prima del colpo non lascia nemmeno il diritto di parola che non si nega a nessun condannato. E l’amour fou resta un mistero.