Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezza in Italia (Peoplepub, pp. 250, euro 16) di Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci!, è una storia del concetto di ricchezza. E ha un valore programmatico nella lotta contro le diseguaglianze, per la tassazione delle ricchezze finanziarie e speculative, per la tassazione progressiva dei redditi e per un’imposta di successione progressiva. In coda al volume è pubblicato il testo di Tax the rich, una delle iniziative di Sbilanciamoci! composta da un’ampia rete di associazioni.

Il titolo è ispirato da una raccolta di scritti politici del drammaturgo August Strindberg contro la sopraffazione economica e culturale della borghesia a danno delle classi subalterne. In realtà la consapevolezza di tale sopraffazione è diffusa, meno noto è il modo di contrastare le oligarchie protette dagli Stati e dai governi con i paradisi fiscali e con i sistemi più iniqui di tassazione. Senza contare che questo sistema globale è stato reso possibile grazie al consenso di chi vota i partiti che sostengono l’agenda neoliberale. È uno degli effetti della contraddizione che porta a identificare la libertà in ciò che sfrutta e l’uguaglianza nel suo opposto di alienazione. Il fatto che cresca l’astensione dal voto non rende meno inquietante la contraddizione. Anzi è la realizzazione di un progetto che mira a scarnificare la partecipazione democratica e a rendere passivi in una società di individui asociali.

MARCON PROSPETTA una visione alternativa. L’ultimo capitolo del suo volume è dedicato all’idea di «classe». «Se ne parla poco e non sempre in modo chiaro – scrive – L’ideologia neoliberista e il pensiero sociologico più omologato escludono l’esistenza delle classi sociali. L’idea è che siamo sulla stessa barca, imprenditori e operai uniti in un solo destino». «L’unico oggetto sociale ben definito è la povertà – aggiunge – Di lotta di classe non parla più nessuno». Si parla invece di «lotta contro la povertà» e la si confonde con la lotta «contro i poveri».
In realtà di «classe» se ne parla nei termini di una stratificazione che compone i gruppi sociali. Le disuguaglianze sono analizzate a partire dalle posizioni dei ceti in una gerarchia. Di solito sono identificate due macro-aree definite in base ai redditi e ai patrimoni. Da un lato, ci sono i ricchi; dall’altro lato, i poveri; in mezzo c’è il «ceto medio». In questo approccio si concede il fatto che i confini tra i ceti sono mobili e mai definitivi, ma si resta nel perimetro dato.

Tuttavia la lotta di classe non è un conflitto per rendere più equa la divisione della torta, mira a superare l’idea stessa della torta e la divisione capitalistica delle sue parti. Resta da capire di quale classe e di quale lotta parliamo. Torniamo a Marx che non ha considerato la «classe» in termini statistici come facevano i fisiocratici. La «classe» per lui è politica, è un movimento che passa dall’in sé al per sé e, si potrebbe aggiungere, si afferma tra i molti. Dunque non è la somma di individui e gruppi, ma il movimento politico che contesta la divisione sociale del lavoro, del potere, delle relazioni, della cultura

LA CLASSE, INOLTRE, è composta da chi possiede ed è costretto a vendere la forza lavoro al di là dei ruoli, degli status, delle nazionalità. La forza lavoro non è solo la capacità di lavoro determinata dal capitale, è anche facoltà che crea valori da cui il capitale dipende e che sussume in relazioni alienate. Un punto di vista di classe dice: viene prima la forza lavoro rispetto al capitale. Qui può nascere una politica della classe intesa come l’oggetto di differenti oppressioni, il soggetto di possibili resistenze, un divenire co–rivoluzionario e una connessione moltiplicatrice. La critica dello sfruttamento del lavoro non è anteposta a quella sessuale, al razzismo o alla natura. Un conflitto specifico non esclude gli altri, ma permetterebbe di consolidare alleanze di classe e la creazione di un’egemonia politica.

Queste idee sono emerse dal dibattito che attraversa i femminismi, il pensiero ecologista e marxista. E circolano persino nel Palazzo in Italia dove si parla in maniera approssimativa di «intersezionalità». Applicarle alla critica delle diseguaglianze, e prospettare un’azione collettiva come fa Marcon, non dovrebbe servire ad affermare i diritti di una corporazione, contrapporre i diritti della libertà a quelli dell’uguaglianza o i diritti sociali a quelli civili, ma a generare una potenza comune e prospettare il superamento della divisione delle classi. Qualche esempio può essere preso dalla Francia, dove si sperimentano le potenzialità e i limiti di questa nuova politica. Non è tutto, ma è già qualcosa affinché i subalterni, gli oppressi, gli sfruttati sappiano di più, e meglio.