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Il valenciano ossessionato dalla luce dello zenit

Il valenciano ossessionato dalla luce dello zenitJoaquín Sorolla, "La vasca dell’Alcázar di Siviglia", 1910, Madrid, Museo Sorolla

A Milano, Palazzo Reale, "Joaquín Sorolla Pittore di luce", a cura di Micol Forti e Consuelo Luca de Tena La sua declinazione abbagliata del "plein air" impressionista (va a Parigi nel 1885) fu al servizio di un’arte per il pubblico borghese. Nel 1908 la visione a Londra dei marmi del Partenone acuisce il suo senso, già assai spiccato, per la corporeità

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 8 maggio 2022

Pittore stimatissimo da Vittorio Pica e malvisto da Ugo Ojetti, lo spagnolo Joaquín Sorolla y Bastida (1863-1923) nel corso della sua brillante carriera tra XIX e XX secolo ha realizzato un ragguardevole numero di opere, ovvero migliaia di dipinti e disegni. Di questa sterminata produzione, Palazzo Reale a Milano presenta attualmente un modesto compendio nella mostra aperta fino al 26 giugno dal titolo Joaquín Sorolla Pittore di luce. L’esposizione, curata da Micol Forti e Consuelo Luca de Tena, ospita una sessantina di lavori, per lo più oli su tela, che coprendo un arco cronologico di circa trent’anni permettono di apprezzare la traiettoria artistica di Sorolla attraverso i temi su cui si è cimentato con più assiduità e fortuna. Joaquín Sorolla. Pittore di luce procede nel solco di un’altra monografica tenuta a Ferrara dieci anni fa e ha il merito di riaffermare il valore di un autore che nonostante i tanti legami con l’Italia, soprattutto tramite le partecipazioni alle Biennali di Venezia sin dalla prima edizione nel 1895 e all’Esposizione Internazionale di Roma nel 1911, da noi continua a essere materia per appassionati di settore.
Rimasto orfano in tenera età, Joaquín viene cresciuto dagli zii, i quali riconoscono e incoraggiano la sua precoce inclinazione artistica, tanto che a quindici anni può già iscriversi all’Escuela de Bellas Artes di Valencia. Nel 1885 grazie a una borsa di studio soggiorna a Roma e ha poi modo di visitare Venezia, Pisa, Firenze e Napoli. Nello stesso anno viaggia anche a Parigi, dove può ammirare le opere degli impressionisti nelle gallerie di Georges Petit e Paul Durand-Ruel; ciononostante, nelle sue lettere dell’epoca si dichiara infatuato dal realismo di Jules Bastien-Lepage e Adolf Menzel.
In effetti Sorolla, pur essendo coetaneo di Signac, Seurat e Matisse, e conoscendo le avanguardie, opta sempre per la rappresentazione del «naturale», nel tentativo di interloquire senza velleità di ribellione o provocazione con un pubblico borghese. Spirito pragmatista, sa che per guadagnare prestigio e distinguersi nelle rassegne internazionali bisogna proporre opere solenni, meglio se d’imponenti dimensioni, che affrontano soggetti d’ispirazione letteraria, storica o religiosa. Così nel 1887 invia all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Madrid una tela raffigurante il Seppellimento di Cristo, oggi distrutta, che però non riscuote i consensi sperati. Non demorde e negli anni novanta dell’Ottocento seguita a lavorare con zelo su tematiche sociali ottenendo maggiori riscontri. Il coronamento di quel periodo è Triste eredità! (1899), grande quadro pregevole nella fattura quanto retorico nei propositi che gli vale il Grand Prix all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 – evento a cui aderiscono tra gli altri Alma-Tadema, Whistler e Klimt – e successivamente la medaglia all’Esposizione Nazionale di Madrid nel 1901.
Nei mesi di maggio e giugno 1908 è a Londra in occasione di un’importante mostra personale alle Grafton Galleries; e ne approfitta per visitare il British Museum. La visione dei marmi del Partenone ha un impatto profondo nell’opera di Sorolla, acuendo il suo senso per la «corporeità» della figura. A Londra, inoltre, incontra il mecenate americano Archer M. Huntington, fondatore della Hispanic Society of America di New York; questi, entusiasta, chiede al pittore di esporre nella sua istituzione. Con oltre trecentocinquanta pezzi, la grande mostra newyorchese del 1909 rappresenta la consacrazione di Sorolla: ottime critiche, un’affluenza eccezionale e innumerevoli vendite. Più tardi, nel 1911, Huntington gli commissiona un ciclo di pannelli per illustrare i tipi antropologici della penisola iberica; l’ambiziosa serie, che s’intitola Visione della Spagna ed è destinata a decorare la biblioteca della Hispanic Society, tiene impegnato Sorolla per anni.
Ritrattista prolifico – viene chiamato a immortalare anche il presidente degli Stati Uniti –, è tuttavia nei paesaggi e nelle scene di vita all’aria aperta che Sorolla dà il meglio di sé. Benché sia infatti erede di una tradizione che rimonta fino a Velázquez e abbia un amore viscerale per la «corporeità», a rendere memorabile Sorolla è la sua peculiare declinazione dell’en plein air impressionista. «L’attenzione quasi ossessiva di Sorolla per la luce, l’aria aperta e i luoghi in cui, a causa di particolari situazioni, la luce assume maggiore presenza, maggiore protagonismo, costituisce il nesso principale tra il maestro valenciano e l’impressionismo. Sorolla si serviva delle tecniche impressioniste soprattutto nei quadri il cui soggetto richiedeva certe modalità di trattamento dell’immagine: principalmente le marine, in cui lo spazio ampio e diafano è puro dominio della luce e la superficie mutevole dell’acqua offre un’occasione perfetta per lo studio dei riflessi e l’applicazione del colore in pennellate giustapposte» (Luca de Tena). Un’altra somiglianza evidente con l’estetica impressionista è nella scelta delle inquadrature, spesso tagliate come istantanee fotografiche.
Il catalogo (Skira, pp. 208, € 32,00) comprende i saggi delle curatrici e di altri specialisti, in un florilegio di testi eruditi che nell’insieme presenta qualche ridondanza. Completano il volume gli apparati bio-bibliografici e le riproduzioni delle opere suddivise in cinque sezioni secondo la scansione dell’allestimento. Stranamente, solo alcuni dei quadri esibiti sono commentati da una scheda dedicata. Quanto al percorso, come da diffusa usanza, anche l’esposizione di Palazzo Reale impone al pubblico di procedere a senso unico per le sale, in una sorta di dark ride a piedi. Questa modalità è ovviamente motivata dall’esigenza di regolare i flussi di visita, ma impedisce una soddisfacente fruizione delle opere pittoriche, che esigono tempi di contemplazione dilatati e libertà di movimento. Gli spazi che per loro natura non consentono tale facoltà rendono la visita un’esperienza frustrante, a discapito di ogni altro pregio dell’esibizione.

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