Cultura

Il turismo di massa, anestetico della società contemporanea

Il turismo di massa, anestetico della società contemporanea

Indagini Il saggio di Rodolphe Christin sull'argomento pubblicato da Elèuthera. La massificazione del desiderio turistico, travestita da libertà di movimento, avviene all’interno di una logica industriale che ha distrutto la dimensione «autentica» del viaggio. Non condivisibile però la connessione che l'autore fa tra l’analisi del turismo, i processi di «sradicamento» e le migrazioni

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 febbraio 2021

«Uscire dalla zona comoda, arrischiarsi dove non si è sicuri di trovare qualcosa. Ci vuole tempo: il turismo non ha tempo, non ha pazienza, non ha tempo da perdere e non ha la pazienza di restare», scrive Paolo Cognetti nella bella postfazione a Turismo di massa e usura del mondo (Elèuthera, pp. 126 pagine, euro 14) di Rodolphe Christin.

«Il turismo è terrorismo» sosteneva già nel lontano 1990 un gruppo di transartisti che aveva messo in scena a Linz, durante il festival Ars Electronica, una performance in cui dei finti «primitivi» erano stati «esposti» in una gabbia. I primitivi osservavano i comportamenti dei cittadini, ma nello stesso tempo erano intrappolati. Il medesimo comportamento che hanno i turisti con gli abitanti del luogo di villeggiatura.

Siamo nell’epoca dell’usura del mondo, sostiene Christin, e la massificazione del desiderio turistico, travestita da libertà di movimento, avviene all’interno di una logica industriale che ha distrutto la dimensione «autentica» del viaggio, trasformandolo in una fuga d’evasione da fare in tempi e modalità prestabiliti, e passando sempre alla cassa.

IL TURISMO È DIVENTATO uno degli anestetici che la società contemporanea permette ai suoi cittadini, immersi in una ipermobilità che è misura della loro insoddisfazione. Nonostante standardizzazione dei desideri e saccheggio ambientale, il turismo mantiene intatto il potere incantatore forse perché il turista, lontano dal suo territorio originario, che ormai non conosce più, nutre la confusa speranza di trovare altrove ciò che gli manca a casa: una vita conviviale e carica di senso, e non si accorge che con la sua presenza distrugge quel che cerca.

Fin qui sono da condividere provocazioni e tesi dell’autore, dove non si riesce a seguirlo è invece nella connessione tra l’analisi del turismo, i processi di «sradicamento» – come vengono definiti – e le migrazioni. In questo, Christin fa sue le idee di Serge Latouche. Con una battuta si può dire che basterebbe guardarsi sotto i piedi per comprendere che gli uomini non hanno radici. Nomadismo e meticciato sono armi da usare contro l’asservimento a ideologie reazionarie come la nazione, l’etnia, il popolo, la razza. Nuove soggettività divengono potenti grazie alla capacità di circolazione e di contaminazione. Christin sembra pensare che ci sia una sottovalutazione del fatto che nomadismo e meticciato culturale siano effetti dei grandi flussi migratori indotti dalla sperequazione internazionale di potere e ricchezza, proprio come Latouche quando sostiene che questi effetti di «sradicamento planetario», sono il fallimento del progetto della modernizzazione, uno scacco del suo universalismo prometeico.

UNA POSIZIONE difficilmente accettabile perché si carica di dimensioni catastrofiche. «Non si capisce perché si debba irridere come ‘universalismo prometeico’ – scriveva Antonio Negri qualche anno fa a proposito di Latouche – il fuggire migrando e il cercare speranza, di individui e popolazioni. I migranti non fuggono solamente la miseria, cercano libertà, sapere e ricchezza».

Il migrante ha la dignità di chi cerca la verità, la produzione, la felicità. Questa forza può rompere la capacità nemica di isolamento e di sfruttamento e togliere, al supposto prometeismo, ogni curvatura eroica e teologica al comportamento dei poveri e dei sovversivi. Il prometeismo dei poveri, dei migranti, è il sale della terra e il mondo è realmente mutato dal nomadismo e dal meticciato. È curioso notare come esista una frattura nel pensiero libertario – e contemporaneo in generale – tra timore dello «sradicamento» e conseguente omologazione, e le possibilità felici di diversificazione desiderante del meticciato.

A conferma di questa frattura, la risposta migliore possiamo trovarla proprio in due altri titoli di Elèuthera, ossia Identità e meticciato e Il pensiero meticcio di François Laplantine e Alexis Nousse, dove si sostiene che è venuto il momento di spazzare via due dinosauri concettuali come identità e rappresentazione, retaggio della metafisica platonica e medievale, e riscoprire la ricchezza del diverso, dell’incontro con l’altro, proponendo di sostituirli con il concetto di meticciato, ovvero di ibridazione culturale, di contaminazione feconda. Forse permettendoci di nuovo di viaggiare con occhi autentici e disincantati.

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