Il tritolo per il pm anticamorra
Napoli Un piano per colpire il procuratore Colangelo. Con l’aiuto della Sacra corona unita
Napoli Un piano per colpire il procuratore Colangelo. Con l’aiuto della Sacra corona unita
Il traffico di armi e droga sarebbe il filo conduttore dei rapporti tra il boss di Gioia del Colle, Amilcare Monti Condesnitt, e la camorra napoletana. In virtù degli affari comuni, i clan avrebbero commissionato al pregiudicato pugliese l’attentato contro il procuratore di Napoli, Giovanni Colangelo. La Dda ha scoperto il piano grazie alle rivelazioni di un pentito. Monti Condesnitt fu arrestato nel 2008, in una operazione della guardia di finanza barese: con lui c’erano criminali pugliesi e alcuni camorristi, sul piatto c’era lo scambio di armi da guerra provenienti dai Balcani con partite di droga. Da queste accuse, nell’aprile 2015, Monti e gli imputati napoletani, tra cui il camorrista di San Giorgio a Cremano Bruno Abate, sono stati assolti dal Tribunale di Bari «perché il fatto non sussiste». Per accuse simili, però, Monti, è stato condannato in primo grado nell’ottobre 2014 a 17 anni e 4 mesi di reclusione.
Le rivelazioni di un collaboratore di giustizia vicino alla Sacra corona unita, ma di origini napoletane, rilasciate alcune settimane fa, hanno rimesso la Dda di Bari sulle sue tracce del piano criminale. Il pentito, attualmente detenuto in carcere, avrebbe rivelato la confidenza fattagli dallo stesso boss di Gioia del Colle: la camorra avrebbe commissionato a Monti l’acquisto di oltre mezzo chilo tritolo, un quantitativo pari a 12 bombe a mano, trasportato poi da Bitonto alla tenuta dove Monti abita a Gioia, da utilizzare per far saltare in aria Colangelo. Il materiale è stato rinvenuto alla base di un albero. Gli investigatori della squadra mobile di Bari avevano mantenuto il riserbo sull’utilizzo del tritolo sequestrato lo scorso 29 aprile. Oltre a Monti Condesnitt erano stati sottoposti a fermo il suo braccio destro e altri tre gregari, accusati di detenzione e porto di armi da sparo ed esplosivo.
Stamattina davanti all’ingresso principale della Dda di Napoli, il Movimento per la lotta alla criminalità organizzata, di cui è presidente il testimone di giustizia campano Luigi Coppola, terrà un flash mob in solidarietà al procuratore. A Colangelo è stata rafforzata la scorta: «Continuerò a fare il mio lavoro al servizio dello stato, fin quando mi sarà richiesto» è l’unica battuta che ha rilasciato ieri ai cronisti. Si è limitato ad assicurare, parlando con i suoi, che non chiederà il trasferimento. Secondo alcune indiscrezioni, nel mirino ci sarebbe stato anche un pm della procura. L’azione della magistratura sta indebolendo i clan nel centro cittadino, nell’hinterland e nell’area casertana. Ieri, ad esempio, c’è stato l’arresto di sei funzionari di banca accusati di riciclare i soldi del clan Zagaria, e la cattura del latitante Umberto Accurso, indiziato di essere il mandante dell’assalto alla caserma dei carabinieri di Secondigliano, bersaglio di decine di raffiche di kalashnikov. L’attentato doveva servire a bloccare l’attività di contrasto.
Tutti i magistrati dell’ufficio, procuratori aggiunti e sostituti, hanno firmato un documento di solidarietà a Colangelo. Un documento con il quale rilanciano l’allarme per la sicurezza dei pm impegnati nelle indagini più delicate. Una situazione ad alto rischio che vivono i magistrati: gran parte dei pm, compresa la metà dei sostituti della Direzione distrettuale antimafia, «non hanno alcuna tutela». Uno scenario sintetizzato dal pm della Dda Henry John Woodcock: «Da una parte tutti i magistrati della procura di Napoli si devono stringere compatti attorno al procuratore della repubblica formando uno scudo ideale e dall’altra, chi ha la competenza per farlo, deve affrontare in modo concreto il problema allarmante della sicurezza».
Secondo il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, contro le mafie «tutto quello che si può fare viene fatto e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Tuttavia le mafie non esisterebbero se non avessero rapporti con la società civile, con il mondo delle istituzioni, il mondo delle imprese, delle professioni. Quel che serve è isolarle recidendo i legami anche economici che le legano anche alla cosiddetta economia legale. Per ottenere questo risultato ci vuole un lavoro culturale che è stato avviato ma che ancora deve essere portato avanti con determinazione».
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