Spira un vento di amore a disprezzo attorno alle rocche incantate di Hogwarts Legacy sin dai tempi del suo annuncio, alimentato dal desiderio degli appassionati delle avventure di Harry Potter e da chi si è sentito tradito dall’attivismo sempre più acrimonioso dell’autrice Rowling contro i diritti delle persone trans. Si è tentato di boicottare il videogioco, ma inutilmente, favorendo invece la sua celebrazione come dimostra il successo del lavoro di Avalanche Software e Portkey Games, premiato sia dal pubblico che dalla critica.

Sebbene il ruolo della Rowling nella scrittura e nella realizzazione di Hogwarts Legacy per Xbox, Playstation e PC,  si limiti a quello di avere concesso i diritti inerenti al suo mondo magico è innegabile che questo sia ad ella connesso ed è miope tentare di separare il demiurgo dalla sua invenzione, così le polemiche sorte attorno a questo videogame sono pertinenti anche quando più radicali, non condannabili e doverose, mentre non ha neppure torto l’appassionato a volere acquistare il gioco e soprattutto il critico a recensirlo, persino con amore. Inoltre in Hogwarts Legacy ci sono innumerevoli tentativi di una narrazione inclusiva, a partire dalla creazione del protagonista alle allusioni ai matrimoni transgenere, fino alla presenza di una barista trans al locale Ai Tre Manici di Scopa di Hogsmeade. Malgrado ciò si tratta infine, in una maniera troppo confusa per essere rilevante, della rivolta di una minoranza da soffocare con la violenza.

Fatte queste necessarie premesse attorno ad un gioco definito da molti “una lettera d’amore” per gli appassionati, non resta che analizzare l’opera stessa che si rivela essere tutt’altro che quest’affettuosa missiva, perché di sentimento da Hogwarts Legacy ne emana assai poco, rivelandosi dopo poche ore un’esperienza piatta e fredda, una trita imitazione di opere strutturate secondo le regole “open world”, insignificante se comparata ad esempio al recente Horizon Forbidden West, con la sua bellezza, la profondità delle sue storie, il senso di meravilglia che alimenta e le appassionanti dinamiche ludiche. Ci sono anche momenti notevoli in Hogwarts Legacy, come il preludio, quando dopo avere assistito alla morte di un uomo il protagonista vede apparire gli altrimenti invisibili cavalli “therstral”, l’arrivo pieno di promesse alla scuola dei maghi, il primo volo su una scopa magica, l’esplorazione della Foresta Proibita quando l’autunno ha tinto le sue foglie. Il sistema di combattimento a furia di incanti, rapido e vario, è appagante almeno durante le prime ore di gioco (quello altrettanto magico dell’invece vituperato Forspoken è assai più riuscito e spettacolare) ma le azioni offensive, che danno vita a stragi di nemici, non lasciano l’ombra di un turbamento sul personaggio principale quindicenne, nessun segno di rimorso.

La storia principale è esangue, solo una traccia anemica per imparare nuovi incanti funzionali e indossare un nuovo equipaggiamento. C’è tanta morte in Hogwarts Legacy, anche violenza, ma si torna sempre a sorridere in maniera ebete con quei manichini senza personalità che sono gli studenti di Hogwarts. Non c’è traccia di derive narrative legate all’etica che condizionino l’evoluzione del gioco, persino la casata scelta non influisce su nulla. Non c’è cibo, non c’è sonno.

Vorremmo che Hogwarts Legacy l’avesse davvero scritto la Rowling, non solo per l’occasione di una critica più indirizzata  verso il suo sciagurato pensiero di questi anni, ma perché malgrado il suo razzismo, il classismo e l’essere reazionaria siano culturalmente genetici e forse inconsapevoli, identificabili da un lettore adulto anche in segmenti delle sue opere,  ha scritto memorabili e straordinarie letture per i ragazzi dove infine si narra di giovani consapevoli del ritorno di un male assolutista e che a questo si oppongono. Dissenso e ribellione.

In Hogwarts Legacy non c’è personaggio il cui carisma sia anche solo vicino all’ombra sbiadita di una Dolores Umbridge e nemmeno di  Argus Gazza, senza nemmeno considerare Harry Potter e i suoi amici, Severus Piton o Hagrid. C’è solo un’ingannevole, carnascialesca superficie a coprire un triste vuoto.