«S’il plaît à messieurs, nous procéderons à l’interrogatoire de la chèvre». Così nel Notre Dame de Paris di Victor Hugo la corte procede contro Djali, la capretta della zingara Esmeralda. L’autore giustifica l’insolito interrogatorio informando subito il lettore che i processi agli animali erano comuni nel Quattrocento, epoca in cui è ambientata la storia.

UNA FOLLIA GIURIDICA, quella narrata da Hugo, che sembra cominciare nel Duecento e avere il suo picco nel secolo seguente e fino al Seicento. Follia che affiancò l’altra, più nota, dei processi alle streghe, che ebbe, non troppo casualmente, un’aria di diffusione sovrapponibile alla prima: aree marginali e montane della vecchia Europa.

I processi agli animali sono un’ottima cartina al tornasole per comprendere la società: il concetto di attribuzione della colpa – scriveva l’antropologa Mary Douglas – influenza il sistema giudiziario e viceversa, ed entrambi sono sintomi del modo in cui una comunità si organizza.

In un’Europa che si sentiva sotto assedio, le battaglie non si svolgevano solo in campo aperto, ma anche nelle aule dei tribunali, dove alla sbarra salirono, uniti in un triste destino, umani di differenti religioni, credenze, genere, e animali come bruchi, maiali, asini, cavalli, cani, orsi.

DA UN PUNTO DI VISTA FORMALE i processi erano di due tipologie: contro animali domestici che avessero ferito o ucciso un essere umano e contro animali nocivi come insetti o roditori, colpevoli di distruggere interi raccolti. Riguardo la prima tipologia, è bene sottolineare che se si trattava di animali selvatici come gli orsi e i lupi, non si procedeva all’azione legale in quanto estraneo al corpo sociale e perché, sosteneva il teologo Giordano da Pisa nel XIII secolo, «non pecca, e non è degno di forche; però che non può fare altro, ch’è mosso a quella opera non da suo arbitrio, ma da sua natura». Una lucidità giuridica che non sembra appartenere al mondo contemporaneo.

DIFFICILE ANCHE SOLO descrivere la complessità di questo fenomeno giuridico, nel quale istanze simboliche e culturali si intrecciano con quelle economiche e politiche. La giustizia criminale, inoltre, era amministrata da corti reali, feudali, signorili, urbane ed ecclesiastiche che oggi ne rendono difficile una visione unificante.

Lo sviluppo del sistema inquisitorio, infine, con l’ufficializzazione da parte del giudice di tutte le fasi del processo una volta che l’accusa fosse stata promossa, allargarono enormemente la sfera d’influenza del diritto. Sembrava che la giurisprudenza entrasse in ogni ambito della vita umana a sorvegliare, punire e correggere qualsiasi errore, anche quando fosse comminato da non umani.

I pubblici processi alle creature selvatiche, con il tempo, diverranno veri e propri spettacoli che non avevano nulla da invidiare alle venationes con gli animali fatte al Colosseo, ma in scala. Come nei processi televisivi contemporanei, il giudice era un conduttore che assisteva e in qualche modo coordinava le urla, gli spintoni, la frenesia del pubblico che affollava le piazze o le aule. Sembravano apparati scenografici di dibattiti che riguardavano i ruoli e lo scambio di relazione tra Dio, l’uomo, il mondo vegetale e animale.

TRA LE VARIE INTERPRETAZIONI del fenomeno troviamo la «mental confusion» di James Frazer, la «personificazione dell’animale» dell’italiano Carlo D’Addosio, la «disposizione infantile» sostenuta da Edward Evans. Gli studi contemporanei si sono fatti più accorti e complessi: un animale che uccide un essere umano, secondo Finkelstein, provoca una rottura nell’ordine delle cose che richiede un’immediata, pubblica e solenne riparazione, ma anche un bisogno di riaffermare una superiorità – una legal lordship, scriveva Ester Cohen – su tutta la natura.

MA FONDAMENTALMENTE, in età moderna e oggi, sembra che questi rituali giuridici siano particolari forme di narrazione tese a ristabilire un ordine razionale e una gerarchia sovvertita da un’uccisione considerata aberrante rispetto ad un presunto ordine costituito del creato.

Forse, secondo una sempre invocata secolarizzazione del mondo, questi processi non si svolgono più nelle aule dei tribunali ma nei media. Per quanto possa sembrare paradossale, l’uscita dalle aule dei tribunali degli animali non solo non garantisce loro l’istituto della difesa, ma li priva del tutto di una personalità giuridica, di un habeas corpus.