Cultura

Il trapianto non è per tutti

Il trapianto non è per tutti

Diritto Una raccolta di saggi frutto di un seminario su "Il trasferimento internazionale dei modelli istituzionali", in un libro edito dal Mulino

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 4 luglio 2013

È stato pubblicato da poche settimane il volume curato da Fabio Rugge per il Mulino Il trasferimento internazionale dei modelli istituzionali (pp. 230, euro 20). Si tratta di una raccolta di saggi storici, politologici e giuridici frutto di un confronto seminariale promosso dall’Università di Pavia e dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano. Il tema approfondito è l’innesto di norme giuridiche, istituzioni, costituzioni e organizzazioni statuali in territori molto differenti da dove sono stati creati.
Se infatti gli istituti giuridici e politici sono originati in una determinata temperie storica dunque prodotti dalle vicende economiche e sociali ma anche culturali e religiose quei medesimi istituti possono essere esportati, copiati, ricalcati e recepiti. David Dolowitz usando l’approccio politologico ricorda che l’odierno policy transfer non è solo frutto di un impianto più o meno coatto ma anche di apprendimento, quindi di una relazione biunivoca tra un Paese che insegna e un Paese che apprende con una differente influenza in rapporto alla differente politica pubblica perseguita: ad esempio istruzione, sanità, opere pubbliche.
L’approccio giuridico di Ugo Mattei mette invece in luce la genealogia del concetto di trapianto giuridico (legal trasplant), categoria meno generale elaborata per primo dallo studioso di diritto romano Alan Watson che «propone una teoria del cambiamento giuridico secondo cui tale fenomeno si determina in quanto le culture giuridiche più deboli tendono a imitare quelle più radicate».
Esso presuppone il confronto tra ordinamenti e istituti deboli e forti e i secondi per affermarsi – come ricorda lo storico del pensiero giuridico Mario G. Losano – sono assistiti da eserciti potenti. Il trapianto tuttavia, come insegna la botanica, non presuppone la distruzione del corpo in cui esso avviene e dunque mantiene una pluralità di forme di vita o, fuor di metafora, un pluralismo giuridico e istituzionale. E il trasferimento dalla seconda metà del secolo XIX è avvenuto prevalentemente in Asia e in Africa nell’ambito della colonizzazione e della de-colonizzazione e infatti i saggi di Peter Leyland, Axel Berkofsky e Mario G. Losano affrontano il trapianto giuridico in Asia mentre quelli di Antonio M. Morone e Pierluigi Valsecchi in Africa.
Tutte queste realtà sono caratterizzate dalla presenza più o meno significativa di quella che Fabio Rugge nel suo secondo saggio chiama «contesto intransigente» cioè di un contesto non solo giustamente refrattario all’imposizione di modelli inadattabili ma anche all’accettazione volontaria di modelli stranieri. Vengono in mente le resistenze di Carl von Savigny e di tutta la scuola storica del diritto nell’accettare la modernizzazione universalistica dei codici napoleonici perché contrari allo spirito e alla storia della nazione tedesca.
Gli studi specifici testimoniano esperienze differenti anche in ragione del differente approccio istituzionale e normativo anglosassone ed europeo, ma, al contempo, anche adattate. L’adattamento è meno necessario alla minor politicità in senso stretto dell’istituzione, come nello studio sull’introduzione della giurisdizione dei tribunali amministrativi in Thailandia, ma è sempre presente. Indicativa è la storia delle due costituzioni giapponesi: la prima del 1889 ispirata, tra gli altri, dal giurista e deputato della sinistra storica italiana Alessandro Paternostro e la seconda imposta nel 1945 dal generale MacArthur dopo le due bombe atomiche.
Costituzioni totalmente diverse, ma perfettamente adattate agli interessi delle élites nazionali: graziosa concessione dell’Imperatore divinizzato, la prima e la seconda, costituzione di una monarchia parlamentare che bandisce la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali. Adattamenti anche in Africa in cui le istituzioni coloniali si assommano a quelle tribali o religiose. Adattamenti nel Corno d’Africa, come in Somalia, in un contesto molto meno intransigente di quello giapponese dal momento che fu necessario omogeneizzare il diritto consuetudinario con quello islamico, la stratificazione di istituzioni legate a diverse colonizzazioni quali quella italiana e inglese. In Somalia una potenza sconfitta nel secondo conflitto mondiale – quale l’Italia – fu chiamata nel 1950 dall’Onu a un mandato fiduciario per ricostruirne lo Stato e l’amministrazione prima di essere ufficialmente ammessa all’Onu.
Tutti casi interessanti da studiare per i nuovi scenari geostrategici contemporanei a fronte di nuove potenze economiche e di nuove alleanze regionali non dando per scontato che un contesto refrattario sia necessariamente più innovativo e progressista.

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