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Il tramonto della progettazione e dell’agorà

verità nascoste

Verità nascoste La rubrica settimanale su psiche e società. A cura di Sarantis Thanopulos

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 12 novembre 2022

L’architettura ha perso consenso e prestigio, il suo impatto sulla Polis si è molto indebolito. La qualità di idee, progetti e pensiero che essa produce resta alta, ma l’uso che se ne fa è scadente. A meno che non la si identifichi con gli archistar (che indipendentemente dalla loro creatività non ne rappresentano lo spirito), chi le presta l’attenzione che merita? Scienza, arte e poesia, l’architettura disegna lo spazio del vivere come luogo di trasformazione che ama la persistenza. Insegue l’eternità, il via vai degli amanti attraverso la soglia immortale di Rilke. Radicata nelle caverne delle pitture primitive (l’imitazione che sogna la realtà per averne un’intima esperienza, molto prima dell’opera tragica), diventata successivamente strumento di culto del potete e delle divinità, l’architettura sorge nella sua vera «potenza» (nel doppio significato di potenzialità e forza) nella Polis democratica greca. Crea l’agorà come centro pulsante della vita cittadina e umanizza il luoghi del culto.

L’essere umano non vive più tra la terra dove poggia i piedi (che prima o poi lo reclamerà) e il cielo che, soggiogandolo al brivido dell’altezza, da una parte lo eleva al di sopra della sua condizione mondana (seducendolo con il mistero) e dall’altra lo inchioda nella sua rassicurante subalternità. Il divino scende tra gli umani e, pur conservando il suo potere di determinazione del loro destino, viene inglobato nella loro avventura che così si estende oltre suoi confini spazio-temporali, nell’infinità delle relazioni potenziali, sperimentali in cui si dispiega.

Tra spiritualità, organizzazione rituale del potere e convivialità dei rapporti politici, economici e culturali, gli spazi architettonici in cui viviamo (intrinsecamente legati ai paesaggi del mondo) sono sede di un conflitto perenne tra l’asservimento al potere e la libertà di movimento e di scambio. Tuttavia l’architettura, insopprimibile nella sua vocazione di rendere respirabile, accogliente e vivibile il mondo, si vendica di ogni sua strumentalizzazione dal totalitarismo: nulla più delle opere architettoniche può rendere visibile nella sua cruda irrealtà il vuoto che abita il cuore del potere assoluto.

La crisi di influenza dell’architettura (l’aver perso il suo posto centrale nella cultura del vivere) è andata di pari passo con il tramonto della progettazione. Forse il maggior contributo che l’architettura ha dato alla civiltà è la progettazione degli spazi di vita condivisa (privata e pubblica) che è il modello, poco riconosciuto, di ogni progettualità nella vita individuale e collettiva. L’architetto, quando dà il meglio di sé, prima guarda lo spazio (come il clinico descritto da Foucault) con occhio vergine e insieme sapiente, poi lo sogna attraverso la tensione tra gli opposti dentro il suo sguardo. Lo spazio comincia a prendere forma e senso e rivelarsi, essere intuito, nelle sue articolazioni potenziali.

A questo punto si può iniziare a definire la sua funzione globale e disegnare le aree che lo compongono la cui comunicazione avviene attraverso le «soglie». Ciò che è lasciato fuori non muore, resta vivo: fa parte silenziosamente del progetto in via di realizzazione, lo estende e lo fa respirare ben oltre la sua concretezza. Ogni progetto dialoga con ciò che restato fuori, nondimeno, lo interroga, ne amplia la portata (creando delle soglie invisibili) e sorregge la sua significazione complessiva nel campo dell’esperienza umana. Nella parte finale della progettazione si procede all’organizzazione globale del funzionamento dell’area progettata per essere vissuta e in quanto tale abitata, e si inseriscono tutti i particolari e i dettagli.

Il tramonto della progettazione ha la sua origine nella pretesa di partire dallo sviluppo dei dettagli (sempre più soggiogato dalla mentalità tecnologica, che non è scientifica) e cercar poi, con l’aiuto della divina provvidenza, di metterli insieme.

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