Il tormento di San Giuliano
Milano Il sindaco di Milano prima dell'Expo dirà ai milanesi se nel 2016 si candiderà per un secondo mandato. Ma ormai gli "amici" sono quasi sicuri che il centrosinistra dovrà mettersi al lavoro per trovare un nuovo candidato per Palazzo Marino. Si tratta di una rinuncia che potrebbe destabilizzare il quando politico non solo milanese. Nel frattempo la destra di agita per tentare la missione impossibile, con Matteo Salvini già pronto a battersi per una campagna elettorale che si annuncia infinita
Milano Il sindaco di Milano prima dell'Expo dirà ai milanesi se nel 2016 si candiderà per un secondo mandato. Ma ormai gli "amici" sono quasi sicuri che il centrosinistra dovrà mettersi al lavoro per trovare un nuovo candidato per Palazzo Marino. Si tratta di una rinuncia che potrebbe destabilizzare il quando politico non solo milanese. Nel frattempo la destra di agita per tentare la missione impossibile, con Matteo Salvini già pronto a battersi per una campagna elettorale che si annuncia infinita
Si incontrano a cena. Riunioni informali. Cerchie ristrette. Senza politici. Parlano di scenari futuri. Sono preoccupati, qualcuno anche arrabbiato per come sono andate le cose. Ma ci saranno altre occasioni, altri conciliaboli: la campagna elettorale degli “amici” del sindaco Giuliano Pisapia è appena cominciata. C’è un problema: sono consapevoli che quasi sicuramente dovranno cercarsi un altro candidato per le elezioni del 2016. Milano ha sempre fretta, ma questa volta non esagera. Gli “amici” non sanno che pesci pigliare.
Sanno che senza di lui il centrosinistra a Milano non esiste e forse non sarà in grado di esprimere un candidato forte. Sanno anche che se Giuliano Pisapia si sacrificasse per altri cinque anni il centrodestra avrebbe pochissime possibilità di riconquistare Palazzo Marino.
Ma a meno di tre mesi dall’evento mondiale che ha già segnato il suo mandato, nel bene e nel male, il sindaco è stanco di questa politica. E di questi partiti. L’uomo parla poco, non ama esibirsi, eppure ieri, intervistato da Radio 24, si è rivelato con più chiarezza del solito. Si ricandida? “Posso garantire che ho già deciso ma lo dirò a Milano e ai cittadini milanesi prima dell’Expo”. Questo si sapeva. Le due notizie sono altre. Primo: “Qualora non mi candidassi mi batterò come mi sono battuto quando mi sono candidato perché ci siano le primarie, e alle primarie non sempre il Pd vince”. Secondo: “Mi piglierei tre mesi di vacanza e probabilmente andrei in India, così non arrivano i giornali, non mi arrabbio, e soprattutto perché l’India è il luogo dove io sono stato più spesso felice”.
A parte il tema del diritto al perseguimento della felicità, che da più di duecento anni interroga la politica e che rivela il legittimo desiderio di fuga del sindaco, la battuta sul partito della nazione che non sempre vince le primarie dice che tra Giuliano Pisapia e il Pd è calato un gelo piuttosto imbarazzante. Pur relativizzando le scaramucce verbali con Pietro Bussolati, giovane segretario renziano del Pd milanese – “lotta” davvero impari – è evidente che il nuovo corso di Matteo Renzi abbia creato uno squilibrio tra il partito di maggioranza a Palazzo Marino e il sindaco che da solo ha vinto le elezioni dei 2011, supportato più dalla cittadinanza attiva che dai partiti.
Oggi è ragionevole che il Pd alzi un poco la voce per contare di più, però è altrettanto vero che senza Pisapia in campo nessuno in quel partito avrebbe il physique du role per candidarsi al suo posto; non Pierfrancesco Majorino, l’assessore più in vista e preparato della giunta, e nemmeno Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd nazionale (il primo è tutt’altro che renziano e troppo di sinistra per questo Pd e il secondo non sarebbe in grado di trascinare quell’elettorato di sinistra che aveva preso una sbandata per Pisapia). Altri nomi interni al partito non ce ne sono, e piccoli Renzi in giro non se ne vedono. Ancora ieri, il sindaco ha criticato il presidente del Consiglio, sia per la scarsa attenzione riservata agli enti locali, “lì c’è la vita quotidiana dei cittadini ma c’è anche il consenso”, che per un suo “difetto” particolare, “ha poco rispetto anche per le persone che invece sono degne di rispetto”. Insomma, non si amano.
Ecco perché, spiega chi lo conosce bene, Giuliano Pisapia, qualora dovesse decidere di gettare la spugna, punterà su primarie (vere) ritagliandosi la parte di “padre nobile” di un’operazione politica che dovrebbe servire a garantire un percorso di continuità con la prima “giunta arancione”. Detta in altro modo, vorrebbe un altro sindaco non scelto dalla segreteria del Pd, un uomo (o una donna) capace di generare lo stesso entusiasmo di quattro anni fa. Un miracolo. Di certo si sa che i cosiddetti “comitati per Pisapia” stanno cercando di rimettersi in moto e che i suoi “amici” cominciano ad interrogarsi sottovoce su chi potrebbe giocarsi la prossima partita. Nel frattempo, e sarà un tempo lungo, perché manca più di un anno alla primavera 2016, il sindaco non avrà molto agio per pensare all’India e alla felicità. Expo a parte, una grana enorme, lo pressano da tutte le parti. Il Corriere della Sera, stizzito, lo invita a decidere in fretta (per dare tempo al Pd di preparare una candidatura!) mentre la Repubblica continua ad intervistare la “Milano che conta” per invitarlo a restare in carica fino al 2021. Tutti, scontenti e contenti, lo invitano di restare. E qualcuno, tra i tanti che lo stanno pregando in ginocchio, l’altro giorno ha anche aperto una pagina facebook (2016morefiveyears). Si convincerà?
L’unica certezza, per ora, è che la situazione non è ancora disperata. Perché a Milano la destra, nonostante le spacconate di Matteo Salvini e le velleità di Maurizio Lupi, è ferma al palo. Siamo al punto che Riccardo De Corato, dopo quattro anni di opposizione inconsistente, ieri è andato a farsi un giro al Leoncavallo. Un evento storico, esilarante. Tanto per capire a Milano chi detta l’agenda. Ma i nomi che circolano sono quelli. Maurizio Lupi (Ncd, alleato del Pd al governo) alle europee del 2013 in città ha preso 8.808 preferenze, non proprio un plebiscito. Difficilmente potrebbe mettere insieme una coalizione con la Lega, e solo dei pazzi potrebbero pensare a un’edizione milanese delle “grandi intese”, con il Pd che appoggia un boss di Cl percepito come il fratello minore di Roberto Formigoni.
Più complicato il discorso su Matteo Salvini, che da sempre sogna la poltrona di Palazzo Marino. Con la Lega al 7%, nel 2013 è stato votato da 19.714 persone. Non poche. E la Lega in due anni è molto cambiata. Per vincere a Milano, Matteo Salvini dovrebbe cambiare pelle e piuttosto in fretta. Un’operazione che molti ritengono impossibile, anche se il personaggio è abile e non è detto che il quadro politico e la crisi infinita non favoriscano la sua ascesa anche in un contesto dove le spacconate non portano grandi consensi. Parte quasi battuto, ma resta il candidato più pericoloso. Giuliano Pisapia ha detto “come avversario mi fa ridere, Milano è una città che non può accettare alcuni messaggi discriminatori che ha Salvini”. La replica è su facebook: “Accipicchia, nervoso e preoccupato il sindaco invisibile”. Benvenuti nel 2016.
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