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Il testo sezionato sul tavolo da semiologo: saggi postumi di Paolo Fabbri

Il testo sezionato sul tavolo da semiologo: saggi postumi di Paolo Fabbri

Semiotica del testo «Biglietti d'invito per una semiotica marcata», da Bompiani

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 giugno 2021

Evocativo, allusivo, sintetico, quasi sincopato, lo stile di Paolo Fabbri ricorre frequentemente alle etimologie, che a volte confermano una sua tesi, altre volte dirottano verso nuove direzioni di senso. Accostamenti e giochi di parole diventano allora pirotecnici, sembrano logomachie. Alcune linee di ragionamento vengono interrotte lasciando tracce che il lettore deve cooperare a ricondurre al ragionamento iniziale, mentre davanti a lui si dispiega una quantità smisurata di spunti, idee, pensieri, riferimenti. Ne è testimonianza la prima raccolta di scritti, Biglietti d’invito per una semiotica marcata, pubblicata dopo la morte di Paolo Fabbri, a cura di Gianfranco Marrone, erede della sua biblioteca (Bompiani, pp. 416, € 22,00).

Anche quando Fabbri si dedica a un genere effimero come quello dei pettegolezzi, l’esortazione è a analizzare i racconti che vi si possono racchiudere. Non a caso Wikipedia lo attrae, perché con il suo carattere rizomatico e metamorfico mira più alla comunicazione che alla conservazione del sapere. Gli zombi – descritti attraverso numerosi film e libri – gli sembrano un buon modello di collettività democratica (a differenza per esempio dei vampiri) e i tatuaggi sono per lui segni tegumentari il cui significato individuale e sociale ingloba sequenze di prove narrative: il dolore preliminare, la realizzazione della marchiatura, l’eventuale sanzione altrui. Persino l’improvvisazione jazz viene descritta nel suo carattere narrativo e colloquiale; ma a un testo come Va’ pensiero dedica, invece, una dissezione da tavolo del semiologo. Specialmente negli ultimi anni – lo ricorda nella sua postfazione Gianfranco Marrone – Fabbri insisteva molto sulla necessità di una semiotica «marcata», ovvero riconoscibile, ma non chiusa né esoterica, il cui metodo fosse «ben temperato» in quanto giusto intreccio di immaginazione e rigore. Anche quando non schiera le categorie più tecniche, lo sguardo di Fabbri resta sempre orientato ai sistemi e ai processi della significazione, attento alla narratività, alle traduzioni intertestuali, alle passioni.

In un saggio esemplare (scritto in collaborazione con Bruno Latour) analizza un testo scientifico con precisione endoscopica e mostra come gli effetti di verità siano prodotti da una serie di riferimenti interni ad altre fonti: sotto al report scientifico non ritroviamo dunque la natura, ma continui riferimenti ad altri testi (la retorica della scienza). Un altro scritto dedicato alla glossolalia, con la sua mancanza di senso, ne riporta il fascino – già osservato da Michel de Certeau – in quanto forma di comunicazione che sfugge al controllo del potere. Persino quando deve analizzare un oggetto banale come un cappello, Fabbri lo osserva – semioticamente – in rapporto ad altri elementi presenti e assenti, paradigmaticamente e sintagmaticamente: i capelli, la parrucca, i codini, i colletti, le cravatte.

Stefano Bartezzaghi, nella prefazione al volume, ricorda che al Dams di Bologna, da una parte del corridoio c’era l’Aula A, dove Eco insegnava la semiotica più istituzionale (i concetti di base, i padri fondatori, i precedenti filosofici), dall’altra parte c’era l’Aula C in cui Fabbri analizzava le notizie giornalistiche e altre forme comunicative attuali con gli strumenti della semiotica testuale. Quelle due aule e quella opposizione topologica hanno ancora oggi una valenza simbolica: da una parte una semiotica storico-filosofica, dall’altra una semiotica metodologico-analitica. I due «amici-avversari» non hanno mai smesso di polemizzare. In un bel saggio di questo volume Fabbri dice che le tracce degli animali possono sì indicare dei significati per via inferenziale (come ben sa il Guglielmo da Baskerville del Nome della rosa, il quale immagina il cavallo dell’abate forte dell’esperienza dello Zadig di Voltaire), ma distinguere – per esempio – le tracce del cane da quelle del lupo, implica analisi comparative: paradigmatiche e sintagmatiche. Ci accorgeremo allora che il percorso del lupo è più rettilineo e regolare rispetto a quello ondulato del cane… Nel palazzo di via Guerrazzi risuonano ancora gli echi di antichi duelli.

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