Cultura

Il territorio come museo, spazio al posto del tempo

Il territorio come museo, spazio al posto del tempoAndrea Emiliani (a destra) con Denis Mahon e Pier Luigi Cervellati fotografato da Paolo Monti nel 1980 nell'Abbazia di San Galgano a Chiusdino

SCAFFALE «Dalla finestra vedeva Raffaello». Vittorio Emiliani ricorda la figura del fratello Andrea, storico dell’arte di geniale originalità

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 25 aprile 2020

Nel ricordo di Vittorio Emiliani – Dalla finestra vedeva Raffaello (Carta Bianca, pp. 150, euro 20) sono tante le pagine dedicate al fortissimo legame con il fratello Andrea, a cominciare dalla struggente infanzia a Urbino, dove abitavano di fronte a Palazzo Ducale e dalle finestre di casa si vedeva il monumento a Raffaello. Ma l’affetto non offusca la lucida ricostruzione della figura di Andrea: «lui scienziato, io divulgatore», scrive Vittorio e del fratello racconta la vita dedicata all’arte e soprattutto alla cultura della conservazione (La conservazione come pubblico servizio, è il titolo di uno dei suoi primi libri).

DA URBINO A BOLOGNA, dove diventa protagonista di una stagione che non ha confronti, quella di Bologna e dell’Emilia Romagna degli anni Sessanta e Settanta: Giuseppe Campos Venuti per primo realizza una moderna pianificazione urbanistica; Pier Luigi Cervellati inventa il recupero, destinando a case popolari l’edilizia storica restaurata; fioriscono sperimentazioni culturali: dal Dams agli asili di Reggio Emilia. Andrea Emiliani, funzionario poi soprintendente alle Gallerie, è uno storico dell’arte di geniale originalità nel panorama non solo italiano. Accanto all’attività canonica (restano memorabili le mostre di pittori come Ludovico Carracci, Guido Reni e Federico Barocci) il suo nome è legato alle famose «campagne di rilevamento», condotte negli anni dal 1968 al 1971, nell’Appennino fra Bologna e Firenze. Il rilevamento non riguarda i beni artistici meritevoli di conservazione tradizionalmente intesi, ma il complesso della realtà rurale, intere frazioni, borghi, borghetti, casolari, case torri, chiese e chiesuole».

ALLE CAMPAGNE di rilevamento parteciparono studiosi e specialisti di svariate discipline, e nel suo libro fondamentale – Una politica per i beni culturali, del 1974 – descrive accuratamente le molteplici competenze dei «censitori» del patrimonio da conservare (dall’architettura alla fotografia, dalle coltivazioni arboree alla metallurgia). Il territorio diventa il suo museo. «Non la successione temporale degli stili – ha scritto sul Fatto Tomaso Montanari – ma la stratificazione della storia in una porzione del territorio. La geografia come storia, potremmo dire: lo spazio al posto del tempo».
Vittorio è fiero dell’orgogliosa consapevolezza che aveva Andrea del suo ruolo di grand commis d’etat, che non gli impedì di partecipare attivamente con Guido Fanti, primo presidente dell’Emilia Romagna, alla formazione dell’Istituto regionale per i beni culturali e ambientali (oggi Ibc). Unica esperienza nel nostro Paese di un luogo di studio, in qualche misura erede dalle campagne di rilevamento, ispirato al principio di «conoscere per governare» e cui si devono importanti ricerche specialmente su città e campagna.
Vittorio, infine, non dimentica di ricordare che Andrea definì «da dementi» la cosiddetta riforma dei Beni culturali voluta dal ministro Franceschini.

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