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Il terribile curriculum dei neo hitleriani

Hammerskin nation Dagli assalti alle sinagoghe ai pestaggi politici e di immigrati. Ma hanno alle spalle anche omicidi

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 16 giugno 2013

Gli Hammerskins sono da sempre uno dei gruppi più pericolosi e violenti, in lotta nel mondo per imporre la «supremazia della razza bianca». I suoi militanti sono stati più volte condannati negli Stati Uniti per aver assaltato sinagoghe ebraiche o compiuto brutali pestaggi.

Nel loro curriculum anche l’assassinio di alcuni giovani di colore. Così nel giugno 1991 ad Arlington nel Texas, dove tre aderenti alla Hammerskin nation (Hsn) uccisero a fucilate un ragazzino, e a Natale dello stesso anno, a Birmingham in Alabama, quando un senzatetto nero fu finito a colpi di mazza da baseball e di stivali ferrati. Dopo l’ennesimo accoltellamento di un giovane afroamericano nel 1999 in California un tribunale penale li definì «una gang di strada».

Modellati come una setta, gli Hammerskins si ispirano al neopaganesimo e ai miti nordici. Per potervi accedere è indispensabile essere bianchi, dimostrare una «sana conoscenza dell’ideologia nazionalsocialista» e, unitamente alla «Fede», all’«Onestà» e all’«Onore», dimostrare anche «Forza fisica». Bandite tutte le droghe.
L’ultimo episodio, che ha fatto il giro del mondo, si è consumato il 5 agosto 2012, quando Wade Michael Page, un veterano quarantenne dell’esercito americano, originario del Colorado, dopo essere entrato in un tempio Sikh, nel sobborgo di Oak Creek, vicino a Milwauke, in Winsconsin, sparò all’impazzata con una pistola semiautomatica calibro 9 provocando sei morti. Nella fuga un agente di polizia, dopo un conflitto a fuoco, riuscì a colpirlo mortalmente.

Michael Page non solo era il leader di una banda nazi rock fondata nel 2005 (End apathy) e aveva fatto parte della scena musicale White power, era anche esplicitamente collegato al circuito Hammerskin, tramite un’altra formazione musicale per cui si esibiva, i Definite hate. Sulla copertina di un loro album, Victory Violent, era graficamente visibile un pugno scarnificato con il tatuaggio HFFH (Hammerskin sempre, per sempre Hammerskin), immortalato mentre colpiva al volto un nero.
In Italia la «fazione madre» degli Hammerskin è da sempre quella milanese. Una cinquantina i militanti, compresi gli Ambrosiana skinheads e i Brianza skin federati agli Hammer. Ogni «fazione» deve essere composta da almeno sei membri, ma per diventare Hammerskin ed entrare in quella che viene considerata «l’élite dell’élite» del movimento naziskin, è necessario seguire una lunga trafila: essere presentato da uno della setta e sottoporsi a un periodo di prova della durata di almeno quattro anni. Successivamente si deve sottostare anche a riti iniziatici. Si parla di pestaggi ai danni di immigrati e di lotte con il coltello contro cani da combattimento. Solo alla fine si potrà ricevere l’agognata toppa e tatuarsi su una parte visibile del corpo, collo o avambraccio, il simbolo con i due martelli in marcia mutuato dal film uscito nel 1982 di Alan Parker, The Wall (di cui però si sono rovesciati il senso e le intenzioni), basato sulle musiche dei Pink Floyd.

Il doppio martello nell’immaginario Hammerskin rappresenterebbe l’arma contro i muri a protezione delle minoranze etniche e religiose. Uscirne è difficilissimo. Chi l’ha fatto ha dovuto cancellare o bruciare i tatuaggi e subire per anni minacce e ritorsioni.

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