Il tempo-spazio di Bachtin alla prova del Medioevo
Un saggio di Antonio Pioletti sulla narrativa romanza: «La porta dei cronotopi» Canzoni di gesta, romanzi e novelle fra epos e avventura: un Medioevo «semiologico»
Un saggio di Antonio Pioletti sulla narrativa romanza: «La porta dei cronotopi» Canzoni di gesta, romanzi e novelle fra epos e avventura: un Medioevo «semiologico»
Cronotopo, diegesi, ircocervo … che saran mai? Del primo termine ci dà una precisa, limpida definizione Michail Bachtin, il grande teorico del plurilinguismo e del «dialogo», che molto lo ama e che ne ha fatto la chiave per preziose analisi di testi letterari antichi e moderni: «Chiamiamo cronotopo (il che significa letteralmente “tempo-spazio”) l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente». I mondi dell’immaginario che Bachtin privilegia sono tutta la tradizione della satira menippea, da Luciano di Samosata ad Apuleio, a Rabelais, a Dostoevskij. Molto meno presenti, nelle sue pagine, a parte qualche veloce rimando, sono i testi del Medioevo. E qui si inserisce la narrazione di Antonio Pioletti, che è un appassionato studioso di Bachtin e anche, come filologo romanzo, un grande conoscitore delle letterature del Medioevo, con il suo La porta dei cronotopi Tempo-spazio nella narrativa romanza (Rubbettino, pp. 292, euro 17,50). Pioletti muove esplicitamente da Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo, il grande saggio bachtiniano del 1937-’38, che leggiamo tradotto in italiano nel volume Estetica e romanzo (Einaudi, 1979), ripercorrendone – anche alla luce del dibattito critico che ne è seguito: Augusto Ponzio, Cesare Segre, Massimo Bonafin, Stefania Sini, Joseph Frank, Bertrand Westphal… – alcuni nodi centrali: l’esteriorità spaziale astratta e il tempo non misurato del romanzo greco d’avventura e di prove, come Le etiopiche di Eliodoro; il romanzo d’avventura e di costume, dove il cammino della vita si fonde con il cammino reale delle peregrinazioni e dei vagabondaggi (Apuleio e Petronio); il romanzo biografico (L’apologia di Socrate e il Fedone di Platone, Le vite parallele di Plutarco); il cronotopo di luoghi privilegiati, e decisivi per l’intreccio: la strada, il castello, il salotto, la soglia, la piazza…
Questo l’orizzonte teorico e di analisi da cui muove Pioletti per immergersi nel cosmo medievale, un’operazione che investe di nuova luce – proprio perché mette in atto la categoria tempo-spazio – canzoni di gesta, romanzi, novelle, e che si rivela un arricchimento per la stessa prospettiva bachtiniana. Pagine importanti sono quelle sulla canzone di gesta, dove si analizzano il Raoul de Cambrai, uno dei capolavori del ciclo dei vassalli ribelli, e Le voyage de Charlemagne en Orient. Se Bachtin contrappone, in forte contrasto, l’epos, come mondo dei padri, dei valori, come passato venerabile e inaccessibile, alla forma romanzo, che è il luogo nuovo della polifonia, della presenza, del dialogo, Pioletti interpreta il Raoul de Cambrai come forma mista: i caratteri epici dei conflitti feudali, delle battaglie e dei duelli, delle vendette, si allargano, in modo romanzesco, a prove e ad avventure, a travestimenti e a stratagemmi magici. Così il Voyage de Charlemagne mescola mondo epico, meraviglioso cristiano, mondo bizantino, in una messa in scena sostanzialemente di tipo teatrale.
Grande rilievo viene dato, comprensibilmente, seguendone le trasformazioni, alle meravigliose storie di Apollonio, che hanno una grande diffusione lungo tutto il Medioevo fino al Pericles, Prince of Tyre di Shakespeare. Se l’Historia Apollonii latina definisce uno spazio di peregrinazioni e di avventure – con inganni, astuzie, false morti … – che include come in un blocco la famiglia e il regno, la Versione di Vienna mette in primo piano le qualità del protagonista, principe-chierico, principe-filosofo. Nei cantari di Antonio Pucci (1310 ca.-1388) l’incessante volteggiare di Apollonio nel tempo e nello spazio è tutto nel segno dello scatenamento delle forze di tempeste e di Fortuna: «famiglia e regno sono beni che si possono perdere e che si possono riconquistare, sono la “mercatantia” che chi crede di essersi arricchito “poscia perde”». Infine, per Joan Timoneda , nella storia undecima del Patrañuelo (1567), Apollonio, portatore di prosperità e di giustizia, attento anche ai valori e agli interessi dei nuovi ceti sociali in ascesa, incarna un ideale armonioso di sovranità.
Ritroviamo il modello narrativo delle storie di Apollonio nel romanzo di Floire et Blancheflor, anche qui grandi spazi, ma tragitti maggiormente delineati dal cronotopo dell’incontro. E l’intreccio è complicato e impreziosito da oggetti culturali, che conferiscono profondità storica al tempo della vicenda: una coppa troiana, posseduta da Giulio Cesare, poi finita nelle mani di mercanti orientali, poi venduta al padre di Floire, gli affreschi, con le gesta degli antenati, nella «Torre delle fanciulle» a Babilonia. Rinuncia ai grandi spazi delle peregrinazioni e degli incontri, per inquadrare la storia in una camera e in un campo, per raccontare la storia di un incontro mancato, il Lai de Narcisse, splendida testimonianza del revival ovidiano del XII secolo. Il tempo è invaso dal conflitto amoroso, ed è scandito dall’alternarsi di notte – le ore dell’insonnia e dell’angoscia, del tormento di Danae in preda alla passione – e di giorno: il tempo dell’innamoramento, dell’incontro e del rifiuto, dell’invocazione agli dèi perché perdano il troppo orgoglioso Narciso. Il Lai muove il racconto in spazi concreti, e lo chiude nella codificazione di una legge cortese, dove in Ovidio la narrazione era avvolta nell’aura del mito e dove il tempo si distendeva nel perenne fluire del mutamento.
La fine delle avventure, la dominanza del «tempo di Fortuna», con la fatale disgregazione del mondo arturiano, segnano l’intreccio di due grandi romanzi in prosa del XIII secolo, la Mort le roi Artu e il Perlesvaus. Nella Mort le roi Artu si snodano gli effetti tragici degli odi, delle gelosie, degli oltraggi e delle vendette: il mondo meraviglioso si ritrae, restano gli eremi, le tombe, gli epitaffi. Il tempo è scandito da un movimento ineluttabile, da premonizioni e sogni, non dall’imprevisto dell’avventura, il presente è solo un passato, un «non più». Il Perlesvaus si collega alla materia dell’incompiuto Perceval di Chrétien de Troyes, accentuando il sostrato di antichi riti e di tradizioni pagane e proponendo, insieme, una riscrittura mistica e provvidenziale. La vicenda si muove in uno spazio labirintico e tenebroso, quasi da gothic novel, illuminato improvvisamente da bagliori divini. Il mondo storico, quello in cui agiscono i cavalieri arturiani, ha una consistenza effimera, perché proiettato in un altro tempo-spazio, attraversato ora da forze demoniache, da castelli funesti, da cavalieri neri, da teste di drago, ora da angeli, da saggi eremiti, da visioni celesti, da luminosità provvidenziali.
Audace, ma per nulla incongruo perché allineato metodologicamente alle categorie messe in campo per le analisi dei testi medievali, è lo sconfinamento di Pioletti nel mondo romanzesco di John Maxwell Coetzee. Il Diario di un anno difficile (2007) è forse un romanzo, forse un diario corredato da una miscellanea di saggi: la pagina è divisa in due, poi in tre spazi, che insieme compongono una tessitura. Il saggista è un vecchio scrittore, la giovane Anya – di cui lui si innamorerà – trascrive i testi e sempre di più interviene, commentando le carte, sulla vita di lui. La vita e il tempo di Michael K (1983) è la negazione del viaggio di formazione. Il protagonista è un «santo idiota», la sua vita, «che seguiva il ritmo del sole, in una nicchia fuori del tempo», culmina, dopo dolorose peripezie, in un «campo», da lui amorosamente coltivato, che è il luogo della terra che rifiorisce e della speranza.
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