La pubblicazione del Meridiano Mondadori Romanzi e racconti, a cura di Paolo di Paolo ed Eugenio Murrali, suggella la lunga carriera di Dacia Maraini, che esordì come scrittrice nel 1962 col romanzo La vacanza. Proprio in quello stesso decennio iniziò il suo impegno di sceneggiatrice per lo spettacolo dal vivo, fondando «Il teatro del Porcospino» e poi, insieme con altre compagne, «Il teatro della Maddalena», ideato e diretto da donne. Maraini ha scritto numerose pièces dedicate a loro, ritratti storici o semplicemente personagge della nostra vita quotidiana. In totale, è autrice di circa trenta opere teatrali, che tuttora vengono rappresentate in Europa e oltreoceano. Dacia Maraini è in effetti la scrittrice italiana più tradotta nel mondo e una figura di riferimento fondamentale della letteratura italiana.

Il suo ultimo libro, pubblicato nel 2021 dalla casa editrice Solferino – La scuola ci salverà – è una raccolta di riflessioni sul tema, frutto di esperienze di insegnamento e dei numerosi incontri che Maraini ha avuto nei luoghi dell’istruzione di tutta Italia.

Dalla sua raccolta di scritti sulla scuola si evince l’importanza che lei ha sempre dato al confronto con le nuove generazioni e, più in generale, all’istituzione scolastica. In questi testi, nati nel corso di molti anni, emerge come questo settore fondamentale sia gravemente trascurato da decenni. Ce ne vuole parlare?

In effetti, andando spesso nelle scuole, mi sono resa conto che sono davvero abbandonate a loro stesse. Le ultime riforme si sono basate su tagli e semplificazioni. Per non parlare dell’idea che il luogo dell’istruzione debba essere un’azienda che produce professionisti, anziché un luogo di formazione completa e civile del cittadino. Per il momento, la scuola resiste grazie a una fitta rete di insegnanti responsabili e appassionati che, nonostante la scarsa considerazione e l’esiguo compenso, lavorano con generosità, coinvolgendo gli studenti. Il racconto della scuola che si fa sui media è catastrofico, ma secondo me si tratta di una narrazione ingiusta e parziale. Ci sono i lavativi, i bulli e i nullafacenti, ma sono una minoranza; solo che, siccome fanno molto rumore, li si considera rappresentativi di tutta la scuola. Come succede spesso da noi, anche in questi giorni di pandemia, ci si concentra sulle minoranze passive, dimenticando che c’è una maggioranza silenziosa che si comporta con giudizio e responsabilità.

Nel suo romanzo «La bambina e il sognatore» (Rizzoli, 2015) il protagonista è un maestro. In questo testo sembra che la scuola possa rappresentare ancora un luogo in cui è possibile dare la priorità a valori diversi da quelli del neoliberismo, seguire i sogni e le storie. È così?

Sì, ma quello che manca è un sistema di valori condiviso dalla collettività. La scuola andrebbe risacralizzata, presentata da chi governa come la sola speranza per un futuro migliore, secondo le regole della nostra bella Costituzione. Quando ero ragazza aveva il suo prestigio, ma si stava imbalsamando, era incapace di sentire e vivere i cambiamenti. Il Sessantotto ha dato una scossa forte a quella istituzione arcaica, ed è stato un bene, ma purtroppo a una bella rivoluzione dal basso non è seguita una riforma degna di questo nome. La politica ha agito senza una visione.

Ricorda un momento della sua vita, in cui ha pensato di essere di fronte a un cambiamento epocale? Se sì, quale?

Beh, certo, il Sessantotto è stato un momento epocale per tutto il paese, che ha dovuto ricredersi e rinnovarsi su tante importanti questioni di costume, di abitudini, di sentimenti, di nuove necessità.

Che cosa la colpisce di più, nel bene e nel male, della politica italiana contemporanea?

Penso che la coppia Draghi-Mattarella stia funzionando e anche bene in un momento di evidenti difficoltà per il paese. È veramente un peccato che Mattarella voglia andarsene, ma capisco che sia stanco, non è facile fare il presidente della Repubblica, soprattutto in un paese rissoso e ipercritico come il nostro. Comunque, se proprio vuole andarsene, proporrei al suo posto una presidentessa. Non voglio fare nomi, perché tutti dicono che facendoli li si brucia, ma credo che ci siano diverse donne di qualità, prestigio ed esperienza in grado di coprire con dignità e onore il compito. Insomma sarei per tenere Draghi al governo, per lo meno fino alla fine di questa subdola e imprevedibile pandemia, ma anche come garanzia per i buoni rapporti economici con l’Europa.

Che ruolo possono avere gli intellettuali nella nostra epoca digitale? E qual è la loro mancanza più grave?

Gli intellettuali hanno il compito di tenere desta l’immaginazione dei cittadini. Premetto che per me l’immaginazione è il motore più importante del nostro corpo. Senza immaginazione non c’è etica. E per etica intendo la capacità di rendersi conto delle ingiustizie, la capacità di capire il dolore altrui, la capacità di sviluppare uno sguardo ampio e generoso verso il mondo e il suo futuro, la capacità di inventare e creare nuovi valori. Inoltre gli intellettuali hanno il compito, visto che lavorano a tu per tu e con spirito sperimentale sul linguaggio, di trovare le parole per raccontare tutto ciò che cambia.

Nella sua lunga carriera, che ruolo ha avuto la disciplina e quale invece ciò che viene definita ispirazione?

L’ispirazione è necessaria, ma da sola non porta da nessuna parte. L’ispirazione ha bisogno della disciplina per svilupparsi.

Qual è la sua abitudine peggiore?

Quella di chiudermi e rifiutare il dialogo quando non mi sento capita.

E il peccato di questi tempi?

Il peccato di questo tempi è una certa diffusa irresponsabilità. Per responsabilità io intendo la consapevolezza delle conseguenze di ciò che facciamo e diciamo. Troppo spesso si ha l’impressione che persone, anche intelligenti e colte, parlino e agiscano senza rendersi conto dell’effetto che stanno innescando. La pandemia ha messo in luce questo dilagante senso di irresponsabilità che, secondo me, produce danni incommensurabili alla vita comunitaria.