Gheppi, rondoni, colombacci, piccioni, cornacchie grigie: l’avifauna di Milano contempla anche gufi, taccole, cinciallegre e tante altre specie che nidificano su rami e cespugli di parchi pubblici, terrazzi e giardini privati o nei sottotetti degli edifici.

IL NIDO PER LORO E’ UN LUOGO di rifugio in cui covare le proprie uova e proteggerle fino alla nascita dei piccoli, in un arco di tempo che può variare da una decina di giorni a quasi tre mesi. Anche per Tadashi Kawamata (Hokkaido 1953, attualmente vive e lavora tra Parigi e Tokyo) il concetto di nido, che indaga a partire dalla fine degli anni Ottanta, ha una forte valenza simbolica legata all’idea di protezione ma che alla luce del lungo e recente periodo della pandemia si carica di ulteriori significati, in rapporto alla famiglia e alla comunità, che sconfinano nell’isolamento e nell’impossibilità di muoversi.

IL NIDO E’ ANCHE LO SPAZIO di collegamento tra esterno e interno come è visibile nella mostra personale Nests in Milan, curata da Antonella Soldaini (fino al 23 luglio), che «nidifica» per la prima volta a Milano sulla facciata e all’interno dei tre piani della galleria Building in via Monte di Pieta, occupando anche il lato sul cortile in un’imponente installazione temporanea. Questo site specific, il più grande tra quelli realizzati da Kawamata che ha partecipato anche alla I Biennale di Helsinki 2021 e in passato alla Biennale di Venezia nel 1982, a Documenta 8 (1987) e Documenta 9 (1992) – una delle sue prime esposizioni in Italia fu nel 1986, nella collettiva Nove scultori giapponesi alla Sala 1 di Roma quando realizzò una grande scultura ambientale che collegava piazza San Giovanni con il giardino del convento dei Passionisti – è esteso anche agli spazi esterni di altri edifici: il Grand Hotel et de Milan, il Centro Congressi Fondazione Cariplo e il Cortile della Magnolia, Palazzo di Brera.

TANTI «NIDI» DI LISTELLI di abete non trattato con qualche pennellata di vernice bianca (l’intervento umano deve essere riconoscibile) che traducono visivamente un processo organico in cui l’aspetto manuale/artigianale mantiene un ruolo primario. L’interazione di altri soggetti in tutte le fasi del lavoro è altrettanto importante: per la mostra Nests in Milan l’artista giapponese ha coinvolto in un workshop gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, arrampicandosi con loro sulle impalcature, tagliando, avvitando, assemblando. Una «scusa» per instaurare un rapporto con le persone.

«NELLA REALIZZAZIONE del nido era importante anche il contrasto tra il rapporto con la natura e il contesto urbano con il ritmo frenetico di Milano – afferma Kawamata. «Guardando da fuori la gente è sorpresa, si interroga sul perché di quest’operazione fragile ed effimera, destinata a sparire in pochi mesi ed è incuriosita ad entrare nell’edificio».

QUANTO AL TIPO DI LEGNO, l’artista usa l’abete da parecchio tempo perché è leggero, maneggevole, economico, si trova ovunque ed è riciclabile. A settembre, infatti, parte di quest’installazione verrà riutilizzata per la realizzazione di un’opera per l’ADI Design Museum di Milano dove è già installato un piccolo «nido».

«OGNI PROGETTO E’ IL PUNTO di partenza per quello successivo». Disegni, bozzetti, appunti, misure e calcoli fanno parte dell’opera, ma c’è sempre qualcosa fuori controllo che interagisce con il tutto: questa possibilità d’incognita è legata proprio alla componente giapponese del linguaggio e dell’estetica di Tadashi Kawamata.

«SONO MOLTO INTERESSATO a due elementi importanti per i giapponesi: il tempo e la natura. La temporaneità delle mie opere proviene dall’idea di cambiamento radicale causato dai terremoti e da altre possibili catastrofi. In questo fluire di andate e ritorni viene introdotto anche il concetto di riciclo».

QUANTO ALLA NATURA, «è assoggettata al tempo, all’alternarsi delle stagioni con i diversi odori, scenari, cambiamenti dell’atmosfera. Noi siamo parte della natura. Non si sfugge, dobbiamo vivere e convivere con la natura e l’ambiente».