Il tempo dei consumi corrompe quello naturale: note di Annie Ernaux
Alias Domenica

Il tempo dei consumi corrompe quello naturale: note di Annie Ernaux

Scrittrici francesi «Guarda le luci, amore mio», da L'Orma
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 aprile 2022

La letteratura della modernità sembra subire da sempre una qualche forma di attrazione verso i luoghi e i modi del commercio, così come verso le trasformazioni simboliche e relazionali che la progressiva concentrazione dei capitali produce nella distribuzione delle merci: è una attrazione che si ritrova anche in Guarda le luci, amore mio (traduzione di Lorenzo Flabbi, L’Orma, pp. 112, € 13,00) tra le cui pagine Annie Ernaux torna a offrire la propria riconoscibilissima prima persona, in forma diaristica. Commissionato per la collana «Raconter la vie» di Seuil, che riporta quasi un anno (dal novembre 2012 all’ottobre 2013) di note sulla frequentazione, lista della spesa alla mano, di un grande ipermercato Auchan a Cergy, cittadina a nord est di Parigi dove risiede la scrittrice, il libro esibisce una scrittura che ricorda da vicino le thick description antropologiche, con scene frammentarie della vita che si svolge in un grande ipermercato, inevitabile collettore dell’intera stratificazione sociale dell’hinterland parigino – «Che lo si voglia o no, qui costituiamo un’unica comunità di desideri» – e della sostanza semiotica in cui i consumatori contemporanei sono immersi.

La strategia retorica del testo, che riproduce lo sguardo della scrittrice, alterna momenti costruiti a mo’ di sineddoche, dove lo zoom cui viene sottoposta la scrittura coglie ed esalta i dettagli: «Grande calca sin dall’entrata del Trois-Fontaines. Sul tapis roulant sotto la grande volta a vetri si sale verso le ghirlande e le luminarie che pendono dal livello superiore come collane di pietre preziose. La giovane donna che è davanti a me con una bambina nel passeggino solleva la testa, sorride. Si china sulla piccola: “Guarda le luci, amore mio!”».

E somma poi a questi passaggi descrittivi altre messe a fuoco che mostrano una passione per l’esteriorità evocativa del Barthes semiologo, secondo una lettura che evidenzia i contenuti ideologici del consumismo: «Piove. Dall’interno del centro commerciale non ce ne si accorge. Il tempo che fa non è inscritto nello spazio, non si legge da nessuna parte. Piuttosto, c’è una rotazione tra i negozi e i reparti, un costante rinnovamento delle merci, del nuovo che fondamentalmente resta identico e segue sempre gli stessi cicli, dai saldi di gennaio al cenone di Capodanno, passando per i saldi estivi e per l’inizio dell’anno scolastico».

Oggetto di trasformazione nell’ordine ideologico della grande distribuzione, il tempo che prevale nel centro commerciale non è più quello mercantile e borghese – «un posto senza alcun orologio», – né quello naturale della meteorologia o dei cicli giornalieri e stagionali – «Ci si lascia alle spalle il freddo e le pozzanghere, il cielo grigio e le auto. Quasi fosse una camminata estiva, ma d’inverno». È piuttosto il tempo fintamente ciclico, esaltato dai consumi, segnato dagli oggetti di moda: «Bambole e giocattoli gettati alla rinfusa in un grande cestone di tela, ribassati del 50%. Niente testimonia meglio la loro funzione di puro segno delle festività. Ora che Natale è passato, le Barbie e i pupazzetti di Hello Kitty sono rimasti gli stessi, semplicemente hanno perduto il loro valore festivo».

Il tempo dei consumi imita e tende a sostituirsi a quello naturale, pretendendo di rimuovere il tempo lineare della produzione industriale, allontanato come una vergogna, ma destinato a riemerge traumaticamente con tre annotazioni, in cui sono riportati gli incidenti – e la morte di migliaia di operai – in alcune fabbriche tessili in Bangladesh. Ciò che nel mondo occidentale occulta la realtà, altrove la rivela: «Tra le macerie sono state ritrovate etichette di Carrefour, Camaïeu e Auchan».

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