Il Teknival delle falsità
Riflessioni Descritto come un girone infernale, il «rave di Valentano» è stato un fatto sociale carico di significati interessanti e di contraddizioni, di aspetti problematici e di novità positive
Riflessioni Descritto come un girone infernale, il «rave di Valentano» è stato un fatto sociale carico di significati interessanti e di contraddizioni, di aspetti problematici e di novità positive
Teknival Space Travel: poche volte si era vista una campagna mediatica tanto imponente e così piena di fake news intorno al teknival di ferragosto, appuntamento che da diversi anni si tiene in Italia, spesso interessando le aree piemontesi, più vicine alla Francia dove è forte la scena delle tribe tekno. Questo destino è toccato in sorte al Teknival Space Travel vol. II, per molti media il rave di Valentano, descritto come un inferno in mano a orde pericolose, uno scempio ecologico e una bomba Covid, un luogo dove lo Stato si è dimostrato impotente e assente, dove muoiono decine di cani, dove le donne partoriscono tra la polvere o vengono stuprate.
Scriviamo questo articolo mentre il rumore di fondo comincia ad affievolirsi, ora che possiamo tentare di verificare tutto quello che di fantasioso e di falso ci è toccato leggere o ascoltare sui media locali e nazionali (con alcune rare eccezioni); scriviamo anche perché le nostre biografie e le esperienze di vita ci hanno fatto incontrare i teknival e i festival, sia dal lato dell’organizzazione, sia per l’impegno in interventi di limitazione del rischio e di riduzione del danno.
Questo teknival è stato sicuramente un fatto sociale carico di significati interessanti e di contraddizioni, di novità positive e di aspetti problematici. Proveremo a metterli in fila, a tematizzarli punto per punto, a partire da ciò che ha addirittura motivato la richiesta di dimissioni del Ministro dell’Interno: la gestione dell’evento dal punto di vista dell’ordine pubblico.
1. L’«ASSENZA» DELLO STATO
Nel paese dei pestaggi istituzionali, da Genova a Santa Maria Capua Vetere, è senz’altro una novità positiva che si sia scelta la linea di non reprimere un’aggregazione di 10mila persone ma di gestirla: è stata una scelta ponderata ed efficace, una best practice da difendere e replicare. Un intervento aggressivo, di sgombero forzoso dell’area, sarebbe stato un disastro, con conseguenze imprevedibili, come è successo pochi mesi fa in Bretagna dove a seguito dell’intervento della polizia francese si sono registrati decine di feriti e un ragazzo di 22 anni ha perso una mano.
Al contrario di quanto strillano coloro che evidentemente volevano che scorresse il sangue, lo Stato è stato presente due volte, dando una doppia prova di efficacia, ambedue ispirate dalla logica della riduzione del danno. La scelta di osservare e contenere a distanza, ha permesso che un evento di massa non si trasformasse in una catastrofe, non sottoponendo a rischi inutili le forze dell’ordine e i partecipanti, consentendo un deflusso ordinato e senza incidenti, rimandando l’accertamento di eventuali responsabilità a un secondo momento; ed è stato presente attraverso le Unità di strada che operano per conto delle Regioni in progetti di limitazione del rischio e riduzione del danno, impegnando ottanta operatori del Servizio pubblico e del coordinamento nazionale comunità di Accoglienza che hanno garantito, come scrive Pino Di Pino della Rete italiana per la riduzione del danno, informazioni, colloqui, cure mediche, primo soccorso, mediazione. Altro che assenza, una presenza dello Stato riflessiva, congrua e professionale, come ha sottolineato Massimo Canevacci, docente di Antropologia Culturale alla Sapienza di Roma.
2. I MEDIA
Un’attenzione mediatica così apparentemente interessata, ma in realtà morbosa, non si vedeva da tempo intorno alla questione free party. Un’attenzione arcigna, da subito preconcetta, ostile, in linea con una riprovazione più generale per ogni aggregazione giovanile che non avvenga intorno al pullman della nazionale; un bombardamento di news che per autogiustificarsi e sostenersi ha avuto bisogno da subito di false notizie, sempre più drammatiche, assurde, inverosimili. Greggi intere sbranate dai cani che poi sarebbero morti sotto il sole, un parto, due stupri, il danno ambientale e la fuga degli animali selvaggi della riserva naturale, decine di coma etilici. Buona parte dei servizi televisivi, degli articoli di fondo e addirittura dei pezzi di satira interpretano un importante appuntamento della cultura giovanile come un girone dantesco dove avviene ogni nefandezza.
Si tratta in gran parte di fandonie sesquipedali, ma che aiutano alla costruzione dello stigma verso un comunità di popolazione giovanile che sceglie eventi non commerciali e autorganizzati, che consuma sostanze illecite, che ama ballare sonorità che hanno scarsa cittadinanza in altri contesti. In epoca di ondate ricorrenti di Covid-19 e di grande incertezza, indicare una distopia realizzata che condensa tutte le paure e le riprovazioni sociali può essere utile, ma contravviene a quanto scrive Charlie Beckett, che raccomanda come in uno scenario di complessità e incertezza sia fondamentale l’etica e l’empatia.
Va inoltre detto che il Teknival Space Travel ha visto un’attenzione del tutto particolare, mentre lo stesso trattamento non è stato riservato a eventi analoghi, come il free party Bordel23, tenutosi nell’area di Pisa ad inizio luglio.
3. ELEMENTI CRITICI.
Durante lo svolgimento del teknival, è morto affogato nel vicino lago di Mezzano Gianluca Santiago, un ragazzo inglese di ventiquattro anni. È stata una disgrazia terribile. È da ricondurre al teknival e alla sua organizzazione? Come si poteva evitare questa disgrazia? Con la chiusura del teknival o con una maggiore educazione alla consapevolezza? Consideriamo che in Italia nel 2020 sono morte in montagna 465 persone e 90 risultano disperse, mentre circa 400 affogano sulle coste e nei laghi, senza che nessuno invocasse la chiusura degli arenili, degli impianti o dei sentieri. La morte di Santiago invita gli organizzatori, comunque, a migliorare le dotazioni di sicurezza e gli avvisi sui rischi ambientali presenti, soprattutto quando tra i partecipanti è diffuso il consumo di psichedelici nonostante, come ha spiegato il padre di Santiago, il figlio sia deceduto prima di arrivare alla festa. È un lavoro di sensibilizzazione che hanno condotto anche le Unità di strada, che oltre a aiutare gli amici di Santiago colpiti dal lutto, hanno allertato i presenti sugli elementi di rischio presenti.
L’opportunità di tenere il teknival di ferragosto con la pandemia da Covid-19 ancora in corso, ha suscitato più di una perplessità, sia nel mondo degli organizzatori di eventi, sia tra le diverse équipe delle Unità di strada. La possibilità che si sviluppassero dei cluster di contagio ha spinto, per esempio, i promotori del WAO Festival, festival di musica elettronica italiana, che si tiene annualmente in Umbria, a riprogrammarlo per il 2022, con sacrifici non indifferenti; una scelta condivisa da diversi festival europei, come il Boom Festival portoghese, Ozora in Ungheria o il Rototom in Spagna. Ma diversi partecipanti hanno sottolineato anche come la vastità degli spazi e la numerosità dei sound hanno consentito che non si formassero mai assembramenti più densi di quelli che si possono registrare sulle spiagge, nelle attività di food & beverage o allo stadio. Le Unità di strada italiane hanno ritenuto di garantire comunque una loro presenza, anche nutrendo dubbi sull’opportunità di tenere un evento che richiama una decina di migliaia di partecipanti ma, coerenti con il loro mandato, oltre ai consueti strumenti di informazione profilassi sui consumi di droghe, hanno ampliato la loro offerta con caveat, informazioni e strumenti per rendere consapevoli i giovani frequentatori dei rischi connessi anche alla diffusione della pandemia.
4. ALTRI SIGNIFICATI.
C’è un dato di fatto che va assunto: ci sono centinaia di persone che si organizzano, investono e comprano impianti (alcuni dei soundsystem presenti allo SpaceTravel avevano impianti e luci di altissimo livello e definizione, come ad esempio FunktionOne), allestiscono scenografie e spettacoli; e lo fanno per migliaia di persone che si recano poi a questi eventi e di fatto partecipano alla loro realizzazione. Al di là di ogni giudizio morale, questo è un fatto. Non sono servite le leggi speciali inglesi del 1994 (Criminal Justice Act utilizzate oltre che per i free party anche contro i movimenti sociali come Reclaim The Street), come non sono servite quelle francesi (legge Mariani) che hanno solo aumentato il numero di incidenti e feriti, senza di fatto fermare il proliferare delle realtà della scena tribe. Anche in questo caso, come con la war on drugs, la repressione non è servita a niente.
Ma quindi cosa deve fare lo Stato se la repressione è inefficace? Sicuramente incominciare a definire quello spazio per quello che è: un atto libertario immaginato e agito contemporaneamente da migliaia di cittadini che segnalano una volontà precisa, consapevoli delle conseguenze anche penali che il loro atto provocherà. Inoltre, invece di demonizzare il fenomeno, osservarlo e riconoscergli anche valore; prima di tutto dal punto di vista della produzione artistica. Questi eventi sono il terreno fertile da cui nascono le tendenze culturali globali rispetto alla musica, ai costumi e ai consumi.
Dal nostro punto di vista, una nota positiva che vogliamo sottolineare è l’assoluta indisponibilità degli organizzatori italiani di eventi autorizzati a cadere nel tranello della contrapposizioni tra i buoni, i promotori di eventi legali (lo è uno dei redattori di questo articolo) e i cattivi dei rave illegali. Più di qualche giornalista ha provato a sollecitare un tale conflitto con domande del tipo: «Ma lei che paga la tassa per la mondezza non di sente derubato da chi invece lucra senza neanche pulire?». Nelle ovvie differenze, veniamo dalla stessa storia, abbiamo frequentato gli stessi ambienti. La contrapposizione è piuttosto con le amministrazioni locali che cacciano il Rototom Sunsplash da Osoppo perché, in quanto festival reggae, «istiga all’uso della marijuana», con il risultato che ora il festival si tiene in Spagna, dove si stima produca un indotto di 22 milioni di euro per le casse dello Stato.
La nostra critica è verso le norme prescritte per gli eventi pubblici, che li ha resi proibitivi in termini di costi; la nostra insofferenza è verso lo stigma che molte istituzioni attribuiscono agli eventi promossi da autentiche imprese sociali di lavoratori e lavoratrici, che rappresentano spesso momenti di riqualificazione di intere aree del nostro territorio, inutilizzate o sottoutilizzate.
I festival, i teknival, i free party, rappresentano i nodi di un network di aggregazione giovanile globale, nazionale e transnazionale, attraversato da tantissime energie creative, artistiche e produttive; energie che spesso rimangono nei territori, caratterizzandoli e innovandoli. Anche su questo si può migliorare: l’area vicino al lago di Mezzano non era ottimale per ragioni di tipo ambientale? Benissimo, capiamo insieme come individuare aree sul territorio italiano che siano accoglienti per questo genere di eventi, in termini ambientali, di logistica, di rapporto con le comunità locali.
Sarebbe il caso che una prospettiva più laica coinvolgesse le redazioni, gli enti locali e diversi dipartimenti dei ministeri, almeno quelli economici e della cultura. Musica, arte e cultura, indotto economico e occupazione non si fanno solo con l’Arena di Verona e l’Auditorium di Roma. È ora che qualcuno se ne renda davvero conto.
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