Il teatro «da cantina» e la raffinatezza di Sciarrino
Note sparse A Bolzano «Lohengrin», opera storica del grande compositore. In scena anche «Radames» di Peter Eötvös
Note sparse A Bolzano «Lohengrin», opera storica del grande compositore. In scena anche «Radames» di Peter Eötvös
Bello quando il teatro musicale non adotta la forma melodramma. Ormai, dopo tutte le rivoluzioni che ci sono state nelle arti dal primo ‘900 a oggi, sembra che si sia tornati al melodramma obbligatorio. Che si tratti di un Giorgio Battistelli (un tempo eversore con la sua drammaturgia del suono) o di un George Benjamin, sempre lì si va a cascare. Per una volta al Teatro Comunale di Bolzano, no. Salvatore Sciarrino con una sua opera storica (1982) e Peter Eötvös con un’azione sonora-scenica altrettanto storica (1976) non sono di quell’idea. Anzi, Eötvös con Radames si diverte – scompostamente, goliardicamente – a prendere in giro il teatro musicale inteso come melodramma. Sciarrino non prende in giro ma con Lohengrin fa musica e fa teatro sconvolgendo tutte le tradizioni possibili. Ai critici musicali mainstream piace l’opera perché se la sbrigano raccontando la storia e dettagliando le note su regia e scenografia. Che l’autore sia un musicista pare che non gliene importi niente. Sciarrino con questo Lohengrin mette in circolo suoni.
ANCHE se la protagonista, una chanteuse (soprano) che interpreta insieme le parti di Lohengrin (un efebo che non vuol saperne dell’amore sensuale e anela all’estasi e alla trasfigurazione) e di Elsa (la sua sposa che lo corteggia inutilmente in tutti i modi più suadenti) non canta molto, non emette molte note, più spesso parla. Ma tutto sarebbe suono in questo parlato che si accompagna alle non-note distillate, filiformi, fantasmatiche, aspre, sognanti dell’orchestra. Sarebbe. Già, perché la cantante che fa Elsa e Lohengrin (Céline Steudler) e con lei il regista Bruno Berger-Gorski hanno in mente il teatro e solo quello. Il teatro «da cantina» e pure modesto. E così i suoni di tortora sospirosa, i respiri sconnessi, le frasi parlate che dovrebbero suonare desiderio e delirio di Elsa e sogno mistico di Lohengrin diventano pura messa in scena di teatro borghese che pretende di essere antiborghese.
E L’ACCENNO alla clinica per malati di mente che Sciarrino fa baluginare nel finale del lavoro, solo un accenno, niente di più – il testo lo ha ricavato da Lohengrin, fils de Parsifal di Jules Laforgue -, diventa una pesante intrusione di infermieri nerboruti che bloccano Elsa – una donna che vuole sensualità non può essere che pazza – e la immobilizzano sotto le coltri. Ci sono grandi composizioni, con scena o no, e ci sono mediocri interpreti. È il caso di questo Lohengrin di Sciarrino a Bolzano. Regista e compagnia hanno una sintonia debole con questo autore di indicibile raffinatezza e arditezza ideativa. E l’orchestra Haydn diretta da Yannis Pouspourikas è senz’altro corretta ma la rarefazione della scrittura sciarriniana ha bisogno di uno scatto mentale in più.
QUANTO al Radames di Eötvös il contrasto tra autore e interpreti non si pone. Mediocri l’uno (in questa occasione) e gli altri. L’opera è una farsa. Eötvös, un autore e direttore d’orchestra tra i più rinomati, e giustamente, nella musica contemporanea, ha voglia di fare satira, magari provocazione, sul tema del melodramma e sugli allestimenti di un melodramma. Inventa per la vicenda una compagnia operistica che è rimasta senza un soldo. Tre registi (del melodramma in programma, del teatro ospite, del film che dovrebbe esserne ricavato) maneggiano un povero controtenore per fargli sostenere le parti di Radames e di Aida nell’opera di Verdi. Cercano affannosamente e guittescamente di farlo adeguare a esigenze di messinscena di cui non ha nessuna pratica. Si sbattono da un capo all’altro del palcoscenico, sbraitano, inveiscono, massacrano il malcapitato virtuoso dell’ugola. Il quale in tutto quel casino canta i lacerti delle più famose arie dell’Aida. Tutti recitano (alla buona) ma l’attore-baritono che fa la parte del regista del teatro, oltre a recitare, canta. Che musica canta? Musica contemporanea del più tipico stile penitenziale. Con maestria di scrittura da parte di Eötvös, intendiamoci. La stessa maestria che mostra nelle parti riservate a quattro strumentisti (sax soprano, corno, tuba, tastiera) collocati nell’angolo del palco. Parti di pregio che si vorrebbe tanto poter ascoltare fuori da questa maldestra azione teatrale.
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