Il «teatro abitato» dove la città incontra gli artisti
Atelier sì I direttori artistici Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi raccontano lo spazio creativo bolognese
Atelier sì I direttori artistici Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi raccontano lo spazio creativo bolognese
L’espressione artistica era già nelle fondamenta dello storico palazzo di Via San Vitale, nel centro di Bologna. Nato nel ‘500 come convento delle Orsoline, dove oggi c’è il teatro le suore suonavano e cantavano per farsi sentire, ma non vedere, nella chiesa confinante al di là del muro. Dopo numerosi cambiamenti e i secoli trascorsi, la sala divenne la sede del Teatro Laboratorio di Leo De Berardinis nei primi anni ’90, che la attrezzò con dei ponteggi mobili e una gratinata estraibile. Nello stesso periodo e nella medesima città veniva fondata, da Fiorenza Menni e Pietro Babina, la compagnia di ricerca Teatrino Clandestino. Diversi anni più tardi ci fu l’ingresso di Andrea Mochi Sismondi che, dopo lo scioglimento del gruppo nel 2009, fondò insieme a Menni il progetto Ateliersi. Gli spazi comunali di Via San Vitale gli vennero allora assegnati come locali per le prove e la produzione di spettacoli, ma il palazzo aveva due piani completamente inutilizzati e così prese piede l’idea di espandersi per aprire le porte al pubblico. Evento che avvenne nel 2014 dopo importanti lavori di risanamento, con la nascita di Atelier Sì — o semplicemente, in maniera più colloquiale, «il Sì».
I DUE DIRETTORI artistici raccontano che l’obiettivo non è mai stato quello di aggiungere un’altra stagione teatrale in città, ma di dar vita a un luogo di sperimentazione e incontro tra Bologna e gli artisti. «È un quotidiano di una qualità diversa, noi lo chiamiamo un teatro abitato», specifica la drammaturga e attrice Fiorenza Menni, ed è effettivamente così considerato che abitualmente al Sì c’è un artista in residenza che soggiorna nella foresteria al piano superiore ed utilizza la sala principale, divenendo temporaneamente «padrone di casa» e avendo poi la possibilità di mostrare, sotto forma di studio o di spettacolo definitivo, il proprio lavoro agli spettatori. A quest’attività si aggiungono le prove del gruppo Ateliersi in un’altra stanza, il personale negli uffici e le aperture pubbliche con i laboratori, i workshop, le presentazioni.
Una peculiarità del progetto è l’intrecciarsi della produzione della compagnia con la programmazione, un processo che avviene naturalmente nel momento in cui un tema prende centralità nella ricerca artistica. Su questa base avvengono infatti incontri con altri artisti e pensatori che approdano poi alla residenza, da cui a sua volta scaturiscono i momenti pubblici. Come ci racconta il drammaturgo e attore Sismondi: «Per il nostro ultimo spettacolo La mappa del cuore abbiamo indagato la costruzione dell’identità e dei ruoli di genere. Parallelamente c’è stata la residenza dell’artista Giorgia Ohanesian Nardin e il lavoro con il collettivo Smascheramenti, perché entrambi riflettevano su queste tematiche». Lo stesso è avvenuto negli anni precedenti con la ricerca sul linguaggio politico e sulla galassia rom, per fare alcuni esempi.
QUESTI FILI invisibili tra dentro e fuori hanno generato un’altra specificità, ovvero l’attraversamento dello spazio da parte di mondi molto diversi. Il teatro rimane forse l’abitante principale, ma il Sì è un punto di riferimento anche per la scena musicale elettronica bolognese. Le serate Habitat e il festival Ombre Lunghe, organizzati dal gruppo di dj Alivelab, animano i locali sin dalle prime aperture. Se l’approccio multidisciplinare è tipico della produzione artistica dei nostri tempi, altra cosa è riuscire a far vivere abitualmente un luogo da pubblici differenti, con la possibilità di dar vita a collisioni inattese. «Può spaventare il caos ma in realtà dal punto di vista del risultato è altissima la commistione che è avvenuta» racconta Menni. Anche in questo caso, l’interesse per la musica proviene dal percorso artistico del gruppo Ateliersi; oltre alla lunga collaborazione con Vincenzo Scorza ce ne sono state altre di altissima qualità come quella con Caterina Barbieri per lo spettacolo De Facto e con Vittorio Burattini dei Massimo Volume per In Your Face.
FREQUENTI poi al Sì, come già accennato, i laboratori di formazione descritti come «Percorsi del sé» per spostare l’accento sulla persona che sceglie di prendere del tempo per se stessa, attraverso l’incontro e la pratica con qualcun altro. Hanno partecipato bambini di quattro anni fino ad attori e attrici che hanno poi costituito gruppi di ricerca autonoma, «la formazione deve servire ad estremizzare le proprie stranezze e peculiarità, ad affilare la propria autorialità, non a standardizzare» precisa Sismondi.
UN PUNTO di forza del progetto risiede, a ben vedere, nel concetto di direzione artistica che viene applicato. A fronte delle proposte ricevute, ci raccontano, non vi è mai un sì o un no netto: viene analizzata insieme la fattibilità del progetto, non solo a livello tecnico ed economico ma anche di senso, in relazione al momento e al luogo. Di sicuro il lavoro di Menni e Sismondi è tutto volto a supportare le pratiche innovative di quegli artisti che «sono in una ricerca estrema di un’alternativa» in un sistema culturale «che ha bisogno a volte di essere spiazzato e sospinto». Un sistema che, quantomeno a livello di amministrazione locale, ha supportato l’iniziativa di Atelier Sì fin dall’inizio, ovvero dalla trasformazione da compagnia di produzione a centro di produzione culturale.
Per il ministero non esiste invece una definizione giuridica di questo tipo e il supporto è più limitato. Tuttavia, ed è giusto motivo di vanto, tutti i rapporti di lavoro sono stati preservati attraverso l’emergenza sanitaria, fornendo anche delle integrazioni alla cig. Le residenze sono ricominciate subito dopo il lockdown, mentre il gruppo Ateliersi ha approfittato della diminuzione dei tour per portare avanti un progetto di scrittura che vedrà la pubblicazione tra alcuni mesi per Cue Press e che tratterà la relazione trentennale tra gli artisti e la strage di Ustica. Inoltre, hanno prodotto una versione in realtà virtuale de La mappa del cuore, che circuiterà per musei e biblioteche. Ora manca solo di riaprire le porte del Sì alla città di Bologna.
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