Il Tar congela il nuovo ospedale
Trento Il mega-appalto vacilla, fra conflitti d’interesse e mancanza di trasparenza
Trento Il mega-appalto vacilla, fra conflitti d’interesse e mancanza di trasparenza
Not clean. Il nuovo ospedale di Trento merita la massima attenzione: il «caso» ha già guadagnato una certezza in punta di diritto.Il Tribunale amministrativo regionale ha rimesso (quasi) tutto in discussione. Proprio a causa dell’opacità della procedura da parte della Provincia. Dopo tre ricorsi sull’assegnazione alla cordata guidata da Impregilo, la sentenza del Tar esclude proprio i vincitori e il raggruppamento Cmb con aziende locali dalla gara che vale 1,8 miliardi di euro.
Così restano formalmente in lizza solo gli altri due gruppi: l’associazione d’imprese con capofila la Mantovani (seconda nella graduatoria finale, ma sotto inchiesta per il Mose a Venezia e cruciale per la «piastra» dell’Expo 2015 a Milano) e quella capeggiata da Pizzarotti Spa di Parma (terza). Ma il Tar ha anche dichiarato «illegittima» la commissione tecnica che aveva gestito il mega-appalto del nuovo ospedale.
Di conseguenza la Provincia di Trento, appena rinnovata dal voto del 27 ottobre, sarà chiamata a nominare un’altra commissione che però potrà valutare soltanto i due concorrenti ancora in lizza. Salvo ulteriori sviluppi, perché dovrà comunque pronunciarsi il Consiglio di Stato e il “caso Not” sembra predestinato ad altre iniziative giudiziarie.
Va all’attacco Rifondazione Comunista, che aveva presentato un esposto alla Procura e sollecita le dimissioni del presidente della Provincia Ugo Rossi. «A nulla è servito il tentativo di occultare quelli che sono evidenti scelte della commissione che hanno favorito Impregilo, di legittimare comportamenti scorretti probabilmente oltre la stessa legalità. Il presidente della giunta, l’allora assessore alla santità, ha coperto oltre ogni logica le decisioni illegittime della commissione» denuncia il segretario Francesco Porta con Elio Bonfanti, «Tutti ricordiamo le decisioni del consiglio chiamato ad esprimersi sulla opportunità di cancellare in autotutela l’appalto: Rossi ha preteso un voto unanime della maggioranza, costringendo i pochi consiglieri che avevano qualche dubbio a smentire le posizioni prese sul più grande appalto della storia del Trentino».
Il nodo vero rimane la trasparenza. Da queste parti, la lobby dei poteri forti conta sulla finanza bianca, sull’eredità politica della Dc e sulla rete di interessi in sintonia che spazia dalla Curia all’Università, dalla Compagnia delle Opere ai mandarini della burocrazia. I ricorsi al Tar sono scattati nel momento in cui le imprese “perdenti” hanno eseguito l’accesso agli atti sulle procedure della Provincia, sbattendo sul muro di gomma. Ai loro legittimi dubbi potevano rispondere solo i verbali ufficiali con gli atti originali del progetto Not. A cominciare dalla nomina di Giuseppe Comoretto: il responsabile del procedimento che risultava per ben 12 anni nell’organico di Impregilo, per di più nel settore project. Non basta: Luciano Flor e Livia Ferrario sono stati contemporaneamente commissari che hanno valutato le quatro offerte ed estensori del bando di gara (in contrasto con l’articolo 84 del Codice degli Appalti).
Lo scenario, però, si rivela ancor più inquietante. Paradossalmente è stato l’ex leghista poi berlusconiano Mauro Delladio a dar battaglia in consiglio provinciale fin dal 1995, quando si comincia a coltivare l’idea di rigenerare l’area di via Al Desert lungo l’Adige nel policlinico ad alta specialità. Operazione, naturalmente, in project financing: 122 mila metri quadri per una volumetria di 500 mila metri cubi; 613 posti letto, 20 sale operatorie, 1.614 posti auto. «Mai avrei pensato che la finanza di progetto potesse nascondere tanta ingordigia e depredazione dei bilanci pubblici. La vicenda è l’apice dell’arroganza di un gruppo di soggetti legati da plurimi vincoli, che al fine di ottenere pubbliche risorse crea un sistema di società private verso le quali l’ente pubblico dirotterà ingenti risorse finanziarie della comunità» scandisce Delladio. Chiama in causa Finest Spa, la cassaforte delle Regioni Veneto, Friuli e Trentino e delle banche a Nord Est. Punta l’indice su Lorenzo Kessler, il «signore del project». E su Stefano Pellicciari, già presidente dell’Assocostruttori Veneto, attraverso San Paolo Costruzioni. In Trentino il cognome Kessler traduce la Dinasty in versione montanara. Lorenzo è figlio del mitico Bruno (1924-1991), presidente della Provincia, fondatore dell’Ateneo, parlamentare e sottosegretario al Viminale nel governo Cossiga. L’altro figlio Giovanni, classe 1956, magistrato, da tre anni dirige l’ufficio anti-frode dell’Ue (Olaf) dopo esser stato deputato Ds e presidente del Consiglio in Provincia. È sposato con Daria De Pretis, 56 anni, avvocato e ordinario di Diritto amministrativo: a Bologna allieva di Fabio Roversi Monaco, da febbraio è la rettrice dell’Università di Trento.
Di più: riannodando i fili della matassa, partendo dal Not si scoprono gli altarini finanziari della Chiesa trentina, le consulenze dello studio Delta Erre di Padova, le architetture societarie all’estero della CdO e soprattutto come il “sistema Dellai” fa il paio con la sussidiarietà nazionale a Nord Est. È così che si arriva fino a Vladimir in Russia, dove i ciellini veneti sono inseguiti dal consigliere regionale Pietrangelo Pettenò (Prc).
Un puzzle che il manifesto ha rivelato nell’inchiesta pubblicata il 24 luglio scorso che tanta eco ha avuto sotto le Dolomiti. Fino alla sentenza del Tar.
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