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Il supporto «colto» al razzismo di ritorno

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Diritti La destra xenofoba sfrutta la crisi economica per acquisire l’elettorato deluso delle periferie, ma colpiscono ancor di più le «assoluzioni» del razzismo provenienti dal mondo democratico

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 19 novembre 2014

L’Italia è un Paese dove il razzismo è purtroppo radicato. Fa parte di una cultura diffusa ed è spesso strumentalizzato – da movimenti e forze politiche – per raccogliere facili consensi.

In molte città le periferie, anche per la scelta di ridurre le risorse a disposizione degli enti locali, sono sempre più abbandonate a se stesse e diventano luoghi nei quali il disagio sociale si somma alla solitudine.
La destra politica che, a differenza di altre forze, ha mantenuto legami e insediamento nel territorio, sta cercando di acquisire egemonia nell’elettorato deluso o smarrito, puntando sull’insicurezza, sulle paure, sulla chiusura individualistica, sulle campagne diffamatorie nei confronti delle minoranze e dei migranti. Si generano conflitti, alimentati dalla costruzione del capro espiatorio, dalle scelte sbagliate di chi ha responsabilità pubbliche e da campagne mediatiche irresponsabili.

La retorica razzista infatti non è solo caratterizza l’iniziativa politica della destra xenofoba, ma è sostenuta anche dalle politiche sbagliate sull’immigrazione e in particolare nel campo dell’accoglienza.

L’affermazione alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo della destra più estrema e xenofoba, la ripresa di protagonismo della Lega, la scelta del Movimento 5 stelle di formare un gruppo a Strasburgo con la destra di Farange sono tutti sintomi di quanto stia tornando tra i prodotti «appetibili» in politica il razzismo.

Si è poi palesato, in questi mesi, un attacco particolarmente violento e organizzato sul piano politico (come dimostrano le ultime sortite di Salvini) contro le comunità Rom e Sinti che, sempre più isolate dentro spazi urbani separati e degradati, sono le minoranza che subiscono di più gli effetti negativi delle scelte sbagliate – o delle non scelte – delle amministrazioni locali.

Anche gli intollerabili errori del Ministero dell’Interno nell’occuparsi dell’accoglienza hanno contribuito a far aumentare i fenomeni d’intolleranza e razzismo. La pervicacia con la quale si continuano a costruire grandi centri e ad alimentare un sistema d’accoglienza parallelo allo Sprar (Sistema d’Accoglienza per Richiedenti Asilo e Rifugiati), gestito dalle Prefetture (Centri d’Accoglienza Straordinari – Cas), che in molti casi ricorre a strutture enormi gestite da soggetti incompetenti, oltre che a una distribuzione territoriale senza alcuna regia e programmazione, non fa altro che predisporre sul territorio centinaia di «incubatori di razzismo».

Da anni ripetiamo che l’accoglienza va fatta dentro strutture piccole e inserite nel contesto urbano (appartamenti per gruppi di singoli o famiglie in numero non diverso dalla media delle presenze «normali»), per consentire processi di inclusione sociale e un impatto positivo sulle comunità locali. Solo questo tipo di accoglienza produce condizioni di vita dignitose e un rapporto costi benefici adeguato all’obiettivo dell’inserimento sociale dei rifugiati.

C’è poi, come è sempre successo nei periodi più bui della nostra storia, il supporto teorico al razzismo dei «colti» e degli amministratori democratici. Basta pensare al caso di Borgaro (periferia di Torino), dove la scelta annunciata dal sindaco dell’autobus «separato» per i Rom, sostenuta da autorevoli interventi di persone colte e di fama indiscussa, ha finito per alimentare comportamenti discriminatori, spesso sfociati in violenza razzista, sia di singoli cittadini che di gruppi organizzati.

Leggendo i commenti di un giornalista noto come Massimo Gramellini, e di un giurista altrettanto conosciuto come Vladimiro Zagrebelsky (magistrato, fratello del più noto Gustavo, e giudice della Corte Europea dei Diritti Umani per 10 anni) sulla annunciata decisione del sindaco di Borgaro, tornano alla mente episodi e commenti analoghi del recente passato. Rinunciando a porsi le domande giuste, questi interventi assolvono di fatto chi ha responsabilità pubbliche per attribuire la colpa del dilagare del razzismo alle vittime e non agli aguzzini.

Così come racconta Hannah Arendt nel sul libro «La banalità del male», in cui le vittime sono gli ebrei, si compie un ribaltamento delle responsabilità con un importante contributo del «razzismo dei colti» e di quello istituzionale.

Saranno ovviamente movimenti e partiti xenofobi a passare all’incasso. Questa volta in maniera più esplicita e decisa, forse proprio in ragione della grande concorrenza del populismo post moderno rappresentato da Renzi da una parte e da Grillo dall’altra.

Per questo, dopo aver perso terreno sia sul piano della credibilità che della visibilità, cambiano i protagonisti, ma si continua a fomentare odio e razzismo, per riconquistare consenso nell’opinione pubblica.
In un periodo nel quale la crisi colpisce in modo sempre più pesante gli individui e le famiglie, i razzisti di professione (Salvini) e i neofiti (Grillo) ricorrono al vecchio gioco del capro espiatorio.

A tutti e a ciascuno spetta reagire e non consentire che la marea razzista si insinui negli spazi che la crisi e la disoccupazione aprono.

Alle organizzazioni sociali democratiche spetta il compito di lanciare l’allarme e di chiamare tutti alla difesa della convivenza civile. Le istituzioni si assumano fino in fondo le responsabilità che gli competono, dando prova di saper governare i processi determinati dal disagio e dal malessere sociale. Evitiamo che, come in passato, l’ignavia apra la strada a un nuovo periodo buio nella storia della nostra democrazia.

* vicepresidente nazionale Arci

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