Nel Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale del governo, che ha un orizzonte a brevissimo termine, perché non guarda oltre il marzo 2023, c’è una piccola parte relativa all’efficienza energetica, che prevede un risparmio di appena 0,2 miliardi di metri cubi. Per quanto piccolo, notiamo che per la prima volta il governo cita il tema, anche se non lo fa in modo non esplicito» racconta Francesca Andreolli, Ricercatrice energia di ECCO, il think tank italiano per il clima. Migliorare l’efficienza energetica di una casa equivale a ridurne i consumi. Gli interventi per farlo riguardano l’isolamento e la coibentazione, sostituendo infissi e porte, isolando termicamente il tetto o aggiungendo cappotti termici, l’installazione di un impianto solare per la produzione di acqua calda sanitaria, il rinnovamento degli impianti di riscaldamento ma anche l’acquisto di elettrodomestici meno energivori. Il riferimento all’efficienza energetica a cui fa riferimento Andreolli è a pagina 14 del documento pubblicato sul sito del ministero della Transizione ecologica, dove – in relazione alle misure comportamentali che comportano un investimento iniziale, e quindi più difficili da attuare – si fa riferimento alla sostituzione di elettrodomestici a più elevato consumo con quelli più efficienti, alla sostituzione di climatizzatori con quelli più efficienti, all’installazione di nuove pompe di calore elettriche in sostituzione delle vecchie caldaie a gas, all’installazione di pannelli solari termici per produrre acqua calda, alla sostituzione lampadine tradizionali con quelle a led. Questi interventi avrebbero secondo l’Enea un potenziale di risparmio di 1 miliardo di metri cubi di gas, ma solo un quinto sarà realizzato nell’orizzonte del Piano, il prossimo inverno.

Perché a suo avviso vale la pena evidenziare misure a cui è attribuito un potenziale di risparmio pari al 2,5% dell’obiettivo complessivo?

Nonostante esistano dal 2007 una serie di bonus finalizzati a migliorare l’efficienza energetica, in precedenza il tema non era mai citato: adesso almeno se ne parla, per lo più in relazione al «superbonus 110%», che è al centro del dibattito politico anche se non si discute quasi mai entrando nel merito degli aspetti tecnici della misura e su come possa essere migliorata.
Il Piano è a breve termine ma anche poco coraggioso, spiega la vostra analisi. Quale sarebbe una risposta strutturale?
Con bollette così alte, legate all’aumento del prezzo del gas ognuno di noi sta facendo uno sforzo per ridurre i consumi. Già nei primi mesi del 2022 la domanda gas è scesa del 6% nella rete di distribuzione (prevalentemente domestico) e del 9% nell’industriale. Di fronte a questo, il governo propone un Piano che è il minimo indispensabile per raggiungere l’obiettivo richiesto dall’Europa, un taglio del 15% nei consumi. Una riflessione di medio termine dovrebbe affrontare il tema delle rinnovabili. E se la previsione di Elettricità Futura di installare 20 gigawatt (GW) all’anno nei prossimi tre anni è stata ridimensionata a 6 o 7 GW. Oggi si è un po’ accelerato sulle autorizzazioni, ma un problema resta: i risparmi sono ottimi quando diventano strutturali.

Interventi strutturali sono quelli sul patrimonio edilizio. «Con gli attuali prezzi del gas una abitazione di 100 m2 nella zona climatica della pianura padana in classe G ha una bolletta annua di 2.573 €, in classe A la spesa si riduce a 383 €. Oltre 2000€ in meno», scrivete.

Un piano per l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio è necessario. La prima legge che ha introdotto il tema è del 1976, ma molti edifici sono precedenti, per cui il nostro patrimonio richiede moltissima energia, le case sono vecchie e hanno una classe energetica superiore alla F o alla G. È fondamentale migliorarne le prestazioni.

È ciò che si sta facendo con il Superbonus?

Il Superbonus è una misura introdotta per ridare vitalità al settore edilizio e ha dato risultati: il settore è rinato. Adesso però bisogna puntare agli obiettivi europei, va adeguato al pacchetto fit for 55 che ha alzato al 55% dal 40% l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030. Il Superbonus deve diventare uno strumento che punti al raggiungimento di quegli obiettivi. Va aggiornato anche il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030, adeguando l’obiettivo di risparmio a 1,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all’anno. Per far questo dobbiamo ripensare i bonus, fare opera di razionalizzazione. Non tutti (bonus facciate o bonus casa) sono legati ad interventi sull’efficienza. Il superbonus senz’altro è costoso ma ha molti aspetti positivi. Il principale è che considera le prestazioni dell’edificio nel suo complesso, andando ad analizzare la classe energetica prima e dopo: gli obiettivi, però, non sono così sfidanti, perché un miglioramento di due classi, quando parti dalla F o dalla G, non dà la sicurezza che si realizzino ristrutturazioni profonde, quelle che garantiscono un risparmio superiore al 60%. Un altro problema del superbonus e dell’ecobonus è che continuano a incentivare le caldaie a gas, mentre dovremmo elettrificare i nostri consumi. Dovremmo incentivare piuttosto le pompe di calore elettriche. La misura, però, non va assolutamente eliminata: è necessaria, altrimenti non si spinge il settore verso la decarbonizzazione.

A fronte di queste esigenze, qual è il suo giudizio sul dibattito politico legato al superbonus?

È surreale, perché dovrebbe entrare sugli aspetti tecnici della misura, a partire da tutti gli aspetti che devono essere migliorati, affrontare il tema della razionalizzazione dei bonus e offrire un indirizzo verso gli obiettivi di efficienza energetica, per valorizzare solo tecnologie compatibili con la decarbonizzazione. Dovrebbe affrontare l’esigenza di un piano di lungo periodo, dando obiettivi e scadenza. Esempi: entro il 2028 dobbiamo arrivare ad avere tutte le case almeno in classe energetica D, nel 2035 in classe B. La scadenza brevissima è una delle cause della bolla che ha fatto aumentare i costi delle materie prime. La politica poi dovrebbe affrontare anche il nodo della «cessione dei crediti», perché questo meccanismo ha permesso di superare una serie di problemi, ad esempio garantendo la possibilità di realizzare investimenti anche a chi è affittuario e aprendo l’opportunità del superbonus anche a chi ha redditi più bassi. Questo anche se i dati confermano che il superbonus è una misura mediamente utilizzata da chi appartiene alle classi di reddito più elevate. Potremmo pensare anche a livelli di detrazione diversi rispetto alle classi di reddito.