Sorpresa: nel primo vertice di maggioranza su una legge di bilancio che si sta trasformando in un campo minato manca il protagonista numero uno, il ministro dell’Economia Giorgetti. Al suo posto, con la premier e i vicepremier, ad accogliere i capigruppo di maggioranza c’è il ministro per il Rapporti per il Parlamento Ciriani. Il cambio della guardia non è casuale: serve a modificare l’intero senso della riunione, trasformata in una discussione a tutto campo sugli impegni che attendono il Parlamento nei prossimi mesi, con la manovra derubricata a capitolo fra tanti. Ma la giravolta è eloquente: se il ministro dell’Economia preferisce evitare un confronto sulla legge di bilancio è segno che ancora il governo non ha idea di come uscire dal labirinto. Dunque, almeno per ora, meno se ne parla è meglio è.

NON CHE SI POSSA PROPRIO fare finta di niente comunque. I due vicepremier, che sono presenti anche se non soprattutto come leader dei loro partiti, all’ingresso mostrano di aver capito l’antifona e di aver accolto i reiterati inviti a volare bassi del ministro assente e della stessa premier. «Le premesse sono buone», assicura Tajani e ci mancherebbe che dicesse il contrario. «Non corriamo i cento metri ma la maratona», disserta conciliante Salvini riprendendo un concetto espresso sino a sgolarsi dall’austero Giorgetti. Però il capo leghista aggiunge che pur senza correre «in questa legge di bilancio faremo altri passi avanti». Lo scoglio sono proprio quei passi che per Salvini devono però essere fatti a ogni costo, violando le regole di un «eccessivo rigore».

LE RICHIESTE DEI PARTITI, sommate alle esigenze ineludibili e alle priorità decise dalla premier, portano il conto della manovra intorno ai 40 miliardi, il ministro non intende superare i 30 e le coperture sono lontanissime anche da quella cifra: ammontano a circa 7 miliardi contando anche i proventi, in realtà del tutto incerti, della tassa sugli extraprofitti delle banche. Alla fine il vertice si è limitato a ribadire che le priorità su cui concentrare le risorse saranno «salari, sanità, famiglie e pensioni a partire da quelle dei giovani».
Comunque la si giri, gli argomenti sul tavolo nel vertice di Chigi portano tutti allo stesso nodo: la mancanza di fondi. Non c’è infatti solo la manovra. Alla fine del mese scadranno i bonus su luce ed elettricità e con le bollette alle stelle non si possono eliminare, anche se il governo mira a limitare agli aiuti ai redditi più bassi. La decisione di Arabia saudita e Russia di prolungare il taglio della produzione di petrolio rende inevitabile un qualche intervento sul prezzo dei carburanti: l’ipotesi allo studio è un bonus ma di durata molto limitata, tre mesi e non di più.

LA PREMIER SI È GIÀ PIÙ VOLTE scagliata contro il Superbonus, attribuendo a quella scelta dei soliti «governi precedenti» i guai di oggi. Ma il Superbonus, anche al netto dell’uso che il governo ne sta facendo come giustificazione per le promesse disattese, è davvero una croce per Giorgetti e Meloni. Anche qui l’ipotesi è confermarlo l’anno prossimo solo per i redditi più bassi ma salvare dal taglio i condomini che abbiano portato a termine entro quest’anno almeno il 70% dei lavori. Anche così, però, resta il cappio dei crediti generati quest’anno e che dovranno andare a deficit: circa 35 miliardi. In fondo il nodo che il governo non si decide ad affrontare è proprio la necessità di ricontrattare con Bruxelles quel deficit fissato al 3,7%, nel quadro attuale del tutto insufficiente.

A TRASFORMARE UN PERCORSO già arduo in un vero labirinto è l’imminente ritorno in vigore del Patto di Stabilità. Draghi, ieri, si è fatto sentire con un articolo sull’Economist in cui boccia sia il ritorno alle vecchie regole sia la riforma proposta dalla commissione. La sua ipotesi è un modello molto simile a quello americano, con un «trasferimento di maggiori poteri di spesa al centro», il che permetterebbe poi di applicare rigidamente le regole di bilancio a Stati membri sgravati però di una quantità di investimenti. Ma l’ipotesi non pare oggi all’orizzonte in Europa e nella situazione data la tensione tra Roma e Bruxelles torna a montare. A chiarire quanto sia alta ci ha pensato Salvini, con un durissimo attacco contro il commissario Gentiloni: «Ho avuto la sensazione di avere un commissario europeo che gioca con la maglia di un altro paese. Più che dare suggerimenti elevava lamenti e critiche». La stagione dell’idillio fra il governo “sovranista” e l’Europa è forse a un passo dalla fine.