Cultura

Il sortilegio delle selkie

Il sortilegio delle selkie

Intervista Parla Su Bristow, autrice di «Pelle di foca» (edito da e/o), romanzo di esordio ispirato alla leggenda nordica. «Da ragazza, interpretavo la loro storia come il racconto della perdita della libertà per le donne, ingabbiate nella fatica del matrimonio»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 luglio 2019

«Il mare è il caos, l’infinita mutevolezza dell’acqua e dei modi che trova per superare gli ostacoli. Il mare è l’altrove, rappresenta tutto ciò che è al di là delle nostre capacità: la magia e il pericolo». Su Bristow, autrice di Pelle di foca, edito da e/o (pp. 272, euro 17), ha deciso di scrivere il suo romanzo di esordio ispirandosi alla leggenda nordica delle selkie: foche che, togliendosi la pelle, si trasformano in esseri umani.
Protagonista del romanzo la selkie Mairhi a cui il pescatore Donald ruba la pelle di foca, negandole la possibilità di tornare in mare: inizia così la sua nuova vita da sposa e da madre, accanto a un uomo che dopo la violenza iniziale imparerà ad amarla, trasformandosi egli stesso in una persona migliore.
«Abbiamo perso la nostra pelle di foca molto tempo fa, ma non possiamo fare a meno di desiderarla, infatti le mitologie di tutto il mondo contengono storie come questa», spiega la scrittrice. Nel romanzo, infatti, troviamo il rapporto tra l’uomo e la potenza del sortilegio, ma anche l’ordinarietà magica delle relazioni umane, quella tra due sposi, tra una madre e un figlio, quelle che regolano le piccole comunità e che, in fondo, ci salvano la vita.

Nel suo romanzo racconta un’antica leggenda che riguarda la femminilità. Perché ha scelto proprio questo mito? Nel suo immaginario qual è il legame tra le donne e il mare?
La storia delle selkie per me ha molti significati. Quando ero ragazza la interpretavo come il racconto della perdita della libertà per le donne, ingabbiate nella fatica del matrimonio. Lo descrivono come l’espressione massima dell’amore e del romanticismo, ma spesso la vita per una donna sposata diventa più angusta e banale. Una volta adulta, ho iniziato a indagare la possibilità di poter abbandonare questo ruolo di vittime e, in quanto donne, godere invece della nostra forza. Ho inoltre desiderio di esplorare il modo in cui anche gli uomini soccombono al sistema, assumendosi la responsabilità di occuparsi delle persone che amano.
Il mare ha molte consonanze con il caos, è un’eterna metamorfosi. È l’utero della vita e in questo senso è femminile, ma non bisogna dimenticare che esistono anche dei selkie maschi. Escono dall’acqua e si tolgono la pelle per diventare uomini e le donne che li incontrano non riescono a resistere al loro fascino…

Nel mito delle selkie la pelle di foca simboleggia l’anima di ogni donna. Che cosa rappresenta per lei la pelle sottratta a Mairhi?
La pelle è ciò che ci permette di essere nel mondo. Quando le selkie la tolgono rivelano la loro essenza più profonda, sperimentano diversi modi di essere o semplicemente giocano, felici di essere giovani e belle. Grazie alla possibilità di «spogliarsi» della pelle, le selkie si spostano da un mondo a un altro, dal mare alla terra, dal regno degli animali alla società umana. Quando questa opportunità viene loro negata non sono più intere. Gli uomini, nella loro bramosia di possedere ciò che è magico e selvaggio non sanno fare altro che distruggerlo. È anche il paradosso degli animali rinchiusi nello zoo.

Mairhi si adatta velocemente alle abitudini degli esseri umani e con facilità impara tutto, tranne che a parlare. Perché?
Sappiamo che se un bambino non viene esposto al linguaggio entro i 18 mesi di vita non avrà il dono della parola. È stato dimostrato nei casi dei bambini «selvaggi», sopravvissuti nella natura, e di quelli abusati, privati di ogni interazione umana. Ho anche pensato, però, che Mairhi avesse possibilità di scelta e che forse si è mantenuta a un passo da quel passaggio – la parola – che l’avrebbe resa totalmente umana, per preservare la sua natura.

Che cosa c’è di così pericoloso nel linguaggio?
Il linguaggio è sempre un passo oltre l’esperienza del momento. Parlando di una cosa la interpretiamo, invece che sentirla semplicemente o custodirla silenziosamente. Certo, è anche la gloria dell’essere umano: possiamo essere meravigliosamente creativi con le nostre parole, permettendo agli altri di fare esperienza di ciò che è al di là della loro portata. Per un personaggio come Donald, che ha problemi a esprimersi e a capire cosa gli altri vogliano dire, è stato liberatorio farsi condurre da Mairhi a un livello di esperienza più diretto.
Pur senza parole, Mairhi è stata in grado di trasformare Donald in un uomo migliore. Come è riuscita in questa difficile impresa?
Non giudicando e non prendendosi gioco del pescatore né cercando di manipolarlo. Ha bisogno della sua protezione e pure che lui interpreti il mondo al suo posto. Questo compito lo aiuterà a diventare un uomo adulto e a prendersi le sue responsabilità.

Bridie, la madre di Donald, è una curatrice e svolge un ruolo molto importante nella storia. Si tratta di un personaggio autobiografico?
Sì, Bridie è in parte il frutto della mia esperienza come erborista in una comunità rurale. Ho imparato che ascoltare le storie delle persone, capendo quando non è il caso di offrire nessun consiglio, è importante quasi come scegliere la cura giusta.

Nella cultura mediterranea le sirene sono considerate una minaccia: sono associate al rischio insito nella seduzione femminile. È lo stesso per le selkie?
Le selkie sono molto diverse dalle sirene. Non cercano di attirare in mare le persone – al contrario di molte creature fantastiche in Scozia – sono gentili e non vogliono fare del male agli esseri umani. I maschi selkie, invece, sono abili a sedurre le donne e a ritornare in mare, dopo averle ingravidate, ovviamente! Le femmine vengono trattenute sulla terra attraverso il furto della pelle, quindi sono gli esseri umani a essere una potenziale minaccia per loro. La loro vulnerabilità è un invito per gli uomini a rispettare la sessualità femminile e la sua incontrollabilità, a godere della bellezza delle donne, del loro incanto, senza tentare di possederle.

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