Il sommo Poeta fra Risorgimento e videogiochi
Scaffale Il libro di Giuseppe Antonelli per la collana Vele di Einaudi, «Il Dante di tutti. Un’icona pop». In Italia, l'Alighieri nei secoli è stato oggetto di un vero culto popolare da santo laico. Ma anche fuori confine hanno guardato al suo Inferno: come Disney per disegnare la foresta di Biancaneve
Scaffale Il libro di Giuseppe Antonelli per la collana Vele di Einaudi, «Il Dante di tutti. Un’icona pop». In Italia, l'Alighieri nei secoli è stato oggetto di un vero culto popolare da santo laico. Ma anche fuori confine hanno guardato al suo Inferno: come Disney per disegnare la foresta di Biancaneve
Chi l’anno scorso abbia seguito le celebrazioni per il settimo centenario della morte di Dante si sarà trovato in una selva fittissima di libri, letture, conferenze, corsi di formazione. Da una di queste occasioni nasce la Vela snelletta e leggera che Giuseppe Antonelli ha da poco varato per Einaudi (Il Dante di tutti. Un’icona pop, pp. 89, euro 12). Titolo e sottotitolo annunciano già il tono divulgativo che Antonelli ha scelto per raccontare una storia plurisecolare, quella che ha fatto di Dante un emblema, una leggenda, un brand, un personaggio dei fumetti, insomma tutto ciò che l’autore della Commedia non è stato e non avrebbe mai immaginato di diventare, malgrado non difettasse certamente di autostima.
IN NOVE CAPITOLI (come i cerchi dell’Inferno e i cieli del Paradiso), Antonelli ricapitola i modi e le forme della fortuna popolare di Dante, di cui già nel Trecento, in virtù dell’irresistibile «musica verbale» del suo poema, asinai e fabbri – lo ricorda già Franco Sacchetti nel Trecentonovelle – si appropriavano in modo disinvolto, storpiando i versi della Commedia e facendo infuriare, racconta Sacchetti, lo stesso poeta.
Questo «Dante pop-orale», continua Antonelli in una narrazione che alterna affondi nel passato e sguardo sul presente, sarà lo stesso che ispirerà nei secoli melodrammi (la Francesca da Rimini di Mercadante o quella di Zandonai), canzoni (da Venditti a Murubutu, passando per il Jovanotti di Serenata rap), ma anche la tradizione orale e divulgativa della Lectura Dantis, inaugurata all’epoca da Giovanni Boccaccio e portata avanti, ai nostri tempi, da Roberto Benigni.
Accompagnando il suo racconto con osservazioni storico-linguistiche (colpisce quella di De Mauro, secondo cui l’ottanta per cento delle parole che usiamo quotidianamente proverrebbe dalla Commedia), Antonelli ricorda poi umili dantofili, cantastorie, concorrenti di Lascia o raddoppia che hanno fatto risuonare, nel tempo, i versi del poema sacro nei contesti più disparati, senza tacere dei nemici e dei critici di Dante, che per qualcuno – per esempio il Conte Ricciardi, autore di Le bruttezze di Dante (1879) – addirittura non sapeva usare il congiuntivo.
A PARTE QUALCHE VOCE fuori dal coro, però, in Italia Dante nei secoli è stato oggetto di un vero culto popolare da santo laico: per esempio nel Risorgimento, quando il cantore della «serva Italia, di dolore ostello» diventò un mito patriottico da invocare a difesa dell’unità del Paese.
Al centro del libretto sta poi un capitolo che fa il verso, con un altro gioco di parole, a una nota rubrica televisiva (Doré Ciak Gulp): qui Antonelli ricorda come le celeberrime illustrazioni di Gustave Doré, uscite in Francia tra 1861 e 1868, abbiano nei decenni colonizzato l’immaginario collettivo, ispirando vetrini di lanterne magiche, film (a partire da L’Inferno di Bertolini-de Liguoro-Padovan, 1911), cartoni animati (la disneyana foresta incantata di Biancaneve pare modellata sull’illustrazione della selva dei suicidi) e fumetti, per esempio quelli dell’americano Sandow Birk o del giapponese Go Nagai.
Ma dai versi di Dante derivano anche infinite parodie, più o meno riuscite: da L’inferno di Topolino (1949), con didascalie in terza rima, ai film comici di Totò; dagli spot («I’ son Beatrice che ti faccio andare», pubblicità di un’acqua purgativa) alle gag televisive di Walter Chiari o di Gigi Proietti, che nei panni di Dante è costretto a correggere il sonetto più celebre della Vita nova («Tanto gentile e tanto onesta pare»), perché Beatrice-Brigliadori non capisce che quel «pare» non significa «sembra» ma, come ha chiarito Gianfranco Contini, «si manifesta in tutta la sua evidenza».
E POI ANCORA GIOCHI (sciarade, rebus, anagrammi, fino al videogioco per PlayStation Dante’s Inferno, dove il poeta è un nuovo Orfeo reduce dalle crociate che scende all’inferno per sottrarre Beatrice a Lucifero), attualizzazioni improbabili e persino grottesche, che in ogni caso testimoniano la persistenza del «potere atemporale di Dante».
Da poco – ma Antonelli non poteva saperlo – l’Inferno è diventato persino un gioco di ruolo pubblicato da Acheron Games (chi altri?), dove i personaggi sono chiamati Smarriti, il Master è una guida inviata da Dio e Minosse ha 161 punti ferita: lasciate ogni speranza, insomma.
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