Per quanto una robusta corrente revisionista abbia tentato con ogni mezzo di negarlo, di opporgli un sentiero virtuoso originato da Lumi più o meno radicali o, in alternativa, di screditarne i principi (l’annosa questione della violenza) identificandone gli esiti con le rovine sovietiche, la Rivoluzione francese e i suoi effetti nel cammino di emancipazione appare ancora come una cesura vivificante della modernità. Un laboratorio straordinario dove misurare la nascita della nuova soggettività politica popolare e la sua sfida al mondo di antico regime incardinato sulla gerarchia e sul dogma. Il libro recente di Valentina Altopiedi (Donne in rivoluzione. Marie-Madeleine Jodin e i diritti della Citoyenne, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 156, euro 24) sembra dar conferma di questa visione. Lo fa da una prospettiva spiazzante, le donne.

LA PARTECIPAZIONE femminile alla rivoluzione è incontrovertibile ed è il fatto politico nuovo dell’ultimo tratto della modernità. Le donne segnano con la loro presenza le «giornate» rivoluzionarie, popolano le piazze e le arene pubbliche, prendono parola avventurandosi come gli uomini nella scoperta della politica. Ma non riescono a squarciare completamente il velo del silenzio. Dopo aver denunciato che l’universalismo rivoluzionario dei diritti è falso e la liberazione dell’uomo coincide non con la promessa della repubblica del genere umano dove fraternità e sorellanza si fondevano ma con l’uomo sessualmente incarnato, le donne vengono rimosse in fretta dalla scena pubblica. A prescindere dal grado di radicalismo politico, i maschi concordano che la politica è di loro esclusiva pertinenza. Per dar contezza del nuovo mondo rivoluzionario le donne erano invitate a parlare di amore della patria e della virtù, ma poi spettava agli uomini liberi rappresentarle.

Il diritto delle donne di ricevere un’educazione era fortemente caldeggiato dai patrioti che non tradivano così il principio di eguaglianza, ma alla stregua del diritto di voto, lo costringevano alla pura passività: l’istruzione libera era «maschia», e alla «cara e dolce metà del genere umano» spettava il solo ruolo di consolidare la Repubblica unendo gli animi e celebrando gli uomini che davano forma alla politica. La fraternità rivoluzionaria, il terzo fuoco insieme a libertà e uguaglianza della prospettiva rivoluzionaria significava letteralmente che le sorelle non avevano cittadinanza piena nella vita pubblica, se non in chiave ancillare.

CON TONO VIBRANTE, Jodin li mette in guardia, vogliono rendere gli uomini liberi e eguali ma stanno creando una nuova aristocrazia di potere: «Anche noi siamo cittadine», dice orgogliosamente. Il fatto nuovo, la cesura rivoluzionaria sta nel fatto che le donne continuarono a lottare per i propri inalienabili diritti. La biografia di Jodin è su questo punto esemplare. Nata a Ginevra nel 1741 a 20 anni venne internata come prostituta in seguito alla denuncia dello zio, interessato più che alla sua morale alla quota di eredità che le spettava. La semplice denuncia di morale rilassata era già una condanna. Scarcerata, partì per Varsavia, poi Dresda dove intraprese la carriera dell’attrice. Una scelta di duplice marginalità, visto lo statuto ambiguo dell’attore, escluso dai diritti politici per ragioni che attenevano a un tempo dominato dalla religione non più attuale, come ricordò Robespierre in un memorabile discorso.

JODIN MORÌ NEL 1790 non prima di aver scritto i Pareri legislativi per le donne. Prima di Olympe de Gouges, sfidava i rivoluzionari sul terreno della politica e lanciava un duro atto di accusa a tutta la stagione di pensiero precedente: a Rousseau con il suo contratto patriarcale, ai Diritti dell’uomo votati nel 1789 e poco avvezzi a tenere in conto i diritti delle donne e di tutti quei soggetti altri, alla Chiesa che aveva imposto un’assurda morale, a quei poco coraggiosi rivoluzionari che avevano mancato l’occasione per allargare davvero all’intero genere umano la solidarietà. Pur assumendo il lavoro di cura come tradizione virtuosa della presenza femminile nella società, Jodin non chiedeva ma pretendeva un nuovo piano di legislazione capace di restituire alle donne quei diritti che sono loro assicurati dalla natura e dal nuovo patto sociale che il 1789 aveva reso possibile.