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Il sogno americano si spezza nella notte del giudizio

Il sogno americano si spezza nella notte del giudizio

Al cinema Terzo capitolo per la saga «The Purge», e questa volta il riferimento alla politica americana è sempre più preciso con la protagonista che sembra proprio Hillary Clinton

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 2 agosto 2016

Terza puntata del serial horror-politico di James DeMonaco. Un successo nato quasi per caso, prodotto all’interno della factory di Jason Blum. Horror veloci, a basso costo, per massimizzare i profitti. Numerosi i titoli che hanno fatto la storia recente del metodo Blum (Sinister, Insidious, The Green Inferno, Oculus, Dark Skies…). Inoltre la strategia della casa tende a fare di ogni successo una franchise (una serie). Quella più interessante è senz’altro Purge, diretta dall’ottimo James DeMonaco (suo lo script de Il negoziatore). La premessa è semplicissima. Trasformare la retorica politica della Nra e dei repubblicani in uno scenario concreto. Lo scenario è il profitto e l’abbattimento dello stato sociale. Quindi una notte all’anno per 12 ore la legge è sospesa e tutti possono cedere ai loro istinti peggiori.

Lo scopo, ovviamente, è terapeutico. Purificarsi della violenza per la quale il discorso progressista vuole colpevolizzare i buoni americani e togliere di mezzo quelli senza tetto e lavoro gravanti sulle casse dello stato. Eugenetica politica e darwinismo sociale portato alle sue estreme conseguenze, tenendo saldamente in mente i precetti di Jonathan Swift che suggeriva modestamente che i poveri dovessero essere mangiati dai ricchi visto che non servono a gran che. Per il terzo capitolo, DeMonaco esce ancora di più allo scoperto. La senatrice Charlie Roan, interpretata da Elizabeth Mitchell (Juliet Burke in Lost), vuole abolire la notte della purificazione (nel doppiaggio, «lo sfogo»… mah!).

Il riferimento a Hillary Clinton è preciso. Una squadra di neonazi al soldo del ministro Owens (Kyle Secor) tenta di assassinarla corrompendo la sicurezza guidata da Leo Barnes (Frank Grillo). La senatrice ovviamente sfugge all’attentato grazie alla sua guardia del corpo ma deve attraversare la città in preda al delirio della purificazione. L’elemento più impressionante del nuovo capitolo della serie è la precisione documentaria del discorso politico repubblicano messo in scena nel film dove millenarismo religioso, darwinismo sociale, economia e nazionalismo isolazionista si fondono senza soluzione di continuità (sembra di sentire Trump).

E se proprio si dovesse individuare un limite al film di DeMonaco è l’evidente discontinuità ritmica; come se il regista, colto dalla disperazione per la possibilità di avere Trump come prossimo presidente, diffidasse quasi dell’evidenza allegorica del suo film. Come se l’urgenza politica strappasse al piacere del racconto il suo primato formale. Non è un caso che si rispetto agli episodi precedenti questo è più dialogato e l’azione ceda il passo alla parola, probabilmente un riflesso dell’angoscia nei confronti delle innumerevoli stragi da armi da fuoco che insanguinano l’America. I fan repubblicani hanno trovato insopportabile l’immagine degli afroamericani e degli immigrati come portatori del vero sogno americano accusando il film di razzismo nei confronti dei bianchi .

D’altronde lo scenario ipotizzato è sin troppo simile alla realtà: bianchi che la fanno franca ammazzando neri. La notte del giudizio – Election Year dimostra come il cinema «politico» americano, anche quando non completamente convincente (ma forse siamo noi troppo severi…), riesca a stare sempre qualche passo avanti rispetto alla concorrenza. E tanto per complicare le cose, fra i produttori figura Michael Bay, sempre imprendibile, anche se in troppi si premurano d’affibbiargli l’etichetta di fascista. Ora, si attende con grande curiosità il quarto capitolo della serie, annunciato sulle immagini finali del film. Sui titoli di coda un remix di I’am Afraid of the Americans di David Bowie. A scanso di equivoci.

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