Visioni

Il sogno americano è ineffabile e beffardo

Il sogno americano  è ineffabile e beffardo

Festival Il Noir apre con «A Most Violent Year» di Chandor e un omaggio a «Twin Peaks» di Lynch per festeggiare la 25a edizione

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 11 dicembre 2015

Sotto le stelle e le strisce statunitensi si è aperto il Noir in Festival, edizione numero 25. Un quarto di secolo all’insegna del mistero coniugato attraverso il doppio binario segnato da una parte da romanzi e scrittori e dall’altra da film e registi, con incroci molteplici di libri divenuti cinema e incursioni nelle serie televisive che sempre più influenzano con il loro approccio il linguaggio cinematografico. E sono anche 25 anni da quando Twin Peaks ha scardinato le certezze tv per proporre obiettivi più ambiziosi.

 

 

L’inaugurazione è stata proprio una rispolverata della serie creata da David Lynch. Poi un paio di film, sempre made in Usa, sempre di genere, ma diversissimi tra loro. Traffickers di Sean Roberts è un prodotto decisamente indipendente realizzato con poche decine di migliaia di dollari. Molto più strutturato invece A Most Violent Year di J.C. Chandor con Oscar Isaac e Jessica Chastain. Con questo film siamo a New York nel 1981, periodo piuttosto vivace dal punto di vista della violenza, lì Abel, ispanico d’origine, insegue il sogno americano e l’ha quasi afferrato.

 

 

Titolare di un’azienda che commercia in combustibile da riscaldamento, sposato, con due bimbe, e fresco di una nuova casa da sogno, deve però affrontare una serie di pasticci che sembrano essersi dati appuntamento per convergere sulla sua zucca. Le autorità stanno indagando sulla sua azienda perché sospettano questioni fiscali, alcuni suoi camion cisterna vengono assaliti, rubati e poi svuotati, e lui che sta acquistando un grosso deposito di si ritrova all’improvviso scaricato dalle banche rischiando di perdere anche la sostanziosa cauzione.
Abel però non è un lupo, è sostanzialmente onesto, non vuole cedere all’ipotesi di fare girare armati i suoi autisti e non cerca scorciatoie. Vuole tenere la schiena diritta, per quanto sia difficile. Perché un suo autista ha deciso autonomamente di difendersi sparando, perché è chiaro che solo qualche suo concorrente può avere preso il combustibile rubato e tutto questo complica una storia che procede secondo i canoni del genere spiazzando però quando si arriva al topoi. Tutto questo diventa un valore aggiunto di una storia singolare che ha già ottenuto diverse segnalazioni e riconoscimenti negli Usa, compresa una nomination al Golden Globe per Jessica Chastain che è moglie e socia imprevedibile di Abel.

 

 

Con Traffickers siamo invece nei quartieri bassi e periferici di Philadelphia. Lì spacciano fumo dei ragazzotti che vivono nella casa di uno di loro rimasto improvvisamente orfano dei genitori ma beneficiato dall’assicurazione. Non sono gangster, ma quando un altro gruppetto cerca di soppiantarli reagiscono da duri. Solo che qualcuno deraglia, spuntano le pistole, ci scappano i morti. Storia già vista. Per molti aspetti è vero, solo che Sean Roberts, anche protagonista, aggiunge qualcosa di inedito, un intreccio famigliare che va oltre lo scontro tra giovani esuberanti e alterati.

 

 

 

C’è un dialogo tra la detective (Celeste Moratti) e Taz che risulta illuminante, la donna con un po’ di arroganza dice di sapere tutto di lui e dei suoi amici perché ha i dossier degli arresti e delle sciocchezze fatte, inoltre sa della perdita dei genitori, lui replica che c’è dell’altro, che lei non sa cosa si provi davvero, che lui si è fatto carico come ha potuto del fratellino minore, insomma apre un’inedita prospettiva. Purtroppo il Roberts regista indulge talvolta all’immagine volutamente sporca rischiando di banalizzare un po’ un film che pur nei suoi limiti ha invece diversi motivi di interesse.

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