Il soggetto psicoanalitico dell’inconscio
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Pietro Pascarelli: “Il soggetto psicoanalitico è il corrispettivo immateriale di un corpo segnato dal linguaggio, e il soggetto dell’inconscio. Non un’entità positiva, ma una forma instabile ad arbitrio del significante, esposta a metamorfosi e a mancanza. Che non è l’anima, e non riflette un’identità monolitica nucleare, ma plurale e fluidamente composita. Non consistenza strutturale ma mutabilità e divisione costitutiva, e una mancanza da colmare: ma senza paura degli stranieri e del nuovo, senza nemici.
La mancanza, che sempre è viva resta sì un dato coesistentivo dell’umano, ma non permanente, anche se ritornante, e anzi essa è il perenne potenziale generativo di ogni progetto di vita.
Paradossalmente, il soggetto dell’inconscio non ha soggettività, ed è solo una forma simbolica che svanisce in un lampo per tornare in infinite successioni, ma senza poter restare. Un’assenza, ancora, ma che crea qualcosa dalla sua essenza negativa, perché esso è come svuotato, e anzi separato dalle esperienze soggettive, ha dell’umano ma non è antropomorfo e non viene da queste limitato.
Con la sua comparsa evanescente batte un ritmo incessante nel segno del nuovo, non ha cicatrici, né genere né patria, e fa sistema con la psiche del singolo e del collettivo integrate, in cui oscilla e pulsa. Il soggetto dell’inconscio è autoreferenziale in un certo senso, come la pulsione, gode di se stesso e del suo fare e diventare. Mentre la nostalgia inconscia dell’Io, o che io provo, l’incompletezza sul piano esistenziale, e la permanenza senza fine del trauma della delusione originaria, si mantengono nel mancato contatto con il plus di vita libidico individuale, o con il collettivo.
Ne derivano gli affetti ripetitivi e le fantasie autistiche che patiscono gli umani, e lo spegnersi del desiderio del nuovo quando l’ombra dell’oggetto perduto si allunga sull’Io, oscurandolo, come accade nella melanconia.”
Sarantis Thanopulos: “La tua descrizione del soggetto dell’inconscio da una parte ne coglie la fluidità, multiformità e dall’altra lo incastra nella forma simbolica, che nelle sue infinite successioni lampo lo fa svanire. Lo smaterializza insieme al corpo in cui esso, a mio avviso, si radica, vive e respira. Il tuo mi sembra un tentativo di uscire dal soggetto strutturato dal significante, la prigionia a cui l’ha relegato a un certo punto Lacan e, al tempo stesso, di restarci in qualche modo ancorato. Sento la tensione tra una ribellione al linguaggio e all’astrazione, che pone la questione della libertà, e il richiamo al fascino della formula che è da sempre al servizio della disciplina.
Nel tuo discorso mi piace la sincerità con cui rende manifesta una delle grandi contraddizioni del nostro tempo. Quella tra l’intuizione, in cui il senso dell’esperienza eccede i nostri significanti linguistici, e la rappresentazione securitaria in cui trionfa l’eccesso di significazione. Voglio chiarire che la formula matematica (non parlo dell’algoritmo) non è mai eccedente, perché quando è davvero rivelatrice si iscrive nel campo della poesia. Non è prescrittiva per la soggettività, è espressione di una sua apertura erotica sublimata alla vita.
Il soggetto dell’inconscio è fatto di ritmi e non ha sesso, né patria, ma ha cicatrici. Perché, pulsando contemporaneamente nella sua particolarità e nel suo altrove (l’altro) -l’apertura all’universale, al collettivo-, esperisce la mancanza e si ferisce. “Pensa” con le sue sensazioni e con i suoi gesti corporei è all’origine, non un creato, del simbolismo.
Nella sua definizione da parte di Lacan tende a confondersi con l’assenza della soggettività. Slitta paradossalmente in un soggetto della parola privo di corpo. È arrivato il tempo di separare l’alienazione del soggetto, colta profeticamente da Lacan, dalla sua condizione naturale.”
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