«Il Papa con la voce affaticata non legge l’omelia», «Le fatiche del Papa che non legge l’omelia», «Il Papa è stanco e non legge l’omelia», «Niente omelia delle Palme: ansia per il silenzio del Papa», «Il Papa affaticato salta l’omelia». Questi sono alcuni titoli con cui giornali e tv hanno dato una notizia inconsueta, il Papa che nella domenica delle Palme, di fronte a 60mila fedeli, al momento di leggere l’omelia resta seduto e in silenzio. Quasi tutti vi hanno visto un problema di salute.

Ma guardate bene le immagini, la mimica, la postura del pontefice, la sequenza dei gesti.

UN PRELATO alla sua sinistra si alza, estrae dalla tasca una busta con probabilmente dentro degli occhiali, si avvicina con il volto a Papa Francesco che è seduto e concentrato, si sussurrano alcune parole, il prelato torna a sedersi rimettendosi la busta in tasca, il Papa rimane nella sua posa con il volto assorto, lo sguardo abbassato, muto di fronte alla piazza in attesa del verbo.

Nulla parla di affaticamento, di sofferenza fisica, di dolori che prendono il sopravvento, e infatti il Papa ha parlato sia prima che dopo. Tutto, invece, indica che quella è stata una scelta, la scelta di restare in silenzio, un silenzio simbolico, perché che cosa si può dire a un mondo che sta procedendo a rotta di collo dentro il baratro delle guerre, quali parole possono diventare efficaci alle orecchie di chi non vuole ascoltare, che senso possono ancora avere i moniti a fermarsi, ad avere il coraggio del negoziato detti a chi pensa che i conflitti si possano risolvere solo con le bombe, il sangue, l’odio, la vendetta, le armi, la distruzione del nemico? Quando tutti si aspettano che tu dica qualcosa, perché è prassi, perché quello è il tuo ruolo, perché si è sempre fatto così, tacere è un atto di ribellione, un monito, è la rappresentazione plastica del silenzio che evochi. È come dire «Basta! Fermatevi». Funziona?

È EFFICACE? Probabilmente per nulla perché si sa che i peggiori sordi sono quelli che non vogliono ascoltare, e poi quando c’è di mezzo il potere, la sopravvivenza del proprio potere, i dittatori depongono le armi solo se sono costretti dalla propria catastrofe, gli opportunisti solo se la via alternativa dà loro maggiori vantaggi. In mezzo c’è la gente, il cosiddetto popolo la cui vita, in questi contesti, diventa un effetto collaterale, un accessorio. Mi sono stupita nel constatare che la maggioranza delle testate ha interpretato il silenzio del Papa come un segno di debolezza fisica. Perché uno che sta zitto deve per forza essere uno che sta male? Siamo così poco abituati al silenzio che non riusciamo più a interpretarlo? O ci preme di più sottolineare gli acciacchi di un uomo, di un Papa, che invecchia?

Strani occhi che abbiamo. Spesso vedono solo ciò che vogliono vedere, eppure lo sguardo non è solo una questione di vista, di cornee, di diottrie. Lo sguardo è connesso con la sensibilità interiore e può, se vuole, se è allenato, andare oltre l’immagine. La stessa cosa succede con i silenzi. È necessario interpretarli, i silenzi, sono necessari i silenzi, soprattutto in questa epoca di cacofonie.

C’è un tasto, nel telecomando, che amo sempre di più ed è quello del Muto. Lo attivo quando inciampo in, che so, Gasparri, la pubblicità, Salvini, Bocchino, spesso Meloni e i suoi accoliti, i pastoni nei tg, i giochi a premi con i pacchi. Le immagini vanno, a volte le sfioro en passant, altre le guardo come un’entomologa che studia una specie che parla e parla e parla, e più parla, meno mi fa venir voglia di ascoltare quello che dicono.

mariangela.mianiti@gmail.com