La redazione consiglia:
Giorgio Gaber e altre storieC’è un curioso gioco del destino che lega la città di mare culla della “scuola genovese” dei cantautori a Giorgio Gaber. Un gioco del destino che si diverte a intrecciare esistenze per un tratto di vita, poi a sparigliare le carte, infine a riannodare i fili, ancora una volta tutto assieme. Il “cantattore” di antica eleganza meneghina con le iniziali “G.G.” ricamate sulla camicia, in quegli anni in cui si portavano maglioni slabbrati ed eskimo, aveva stretto un bel sodalizio con i ragazzi genovesi dell’Assemblea Musicale Teatrale: c’era la voce asprigna di Gian Piero Alloisio, la chitarra dolce o incendiaria, a seconda delle esigenze, di Gianni Martini. Pochi anni dopo Gaber vuole accanto sul palco un altro genovese di gran caratura, il bassista Claudio De Mattei, che sarà poi con lui fino alla fine. De Mattei e Gianni Martini sono tornati sul palco per 20 anni senza Signor G, sul palco del Teatro Tiqu di Genova, e l’immenso vuoto al centro, quello dove regnava l’affabulatore carismatico e sferzante capace anche di improvvise dolcezze era colmato da un genovese cantautore di una generazione dopo, Federico Sirianni.Perché i suoi recital hanno sempre il rinforzo di una carica istrionica vera e necessaria, un flusso energetico che non può non rammentare quello di Gaber. Come condensare il fiume di parole, di amarezza, gli istanti radi di pura tenerezza, la sferza e la carezza contropelo di Gaber in poco meno di due ore?

CINQUE ALBUM notevoli all’attivo, l’ultimo, dedicato alla figura del “corto maltese” letterario, Maqroll, nato dalla penna immensa di Álvaro Mutis. Anche Sirianni ha incrociato, indirettamente, le piste urticanti di Gaber: lavorando con Alloisio, con i musicisti di Gaber, con Arturo Brachetti. Sirianni al centro della scena, è la voce e la presenza – assenza di Gaber, che viene rimarcata anche dalla differenza fisica tra i due: spigoloso e tutto nervi il Signor G, imponente, torreggiante la figura di Sirianni, talentuoso uomo di teatro, oltreché di canzoni. Perché i suoi recital hanno sempre il rinforzo di una carica istrionica vera e necessaria, un flusso energetico che non può non rammentare quello di Gaber. Come condensare il fiume di parole, di amarezza, gli istanti radi di pura tenerezza, la sferza e la carezza contropelo di Gaber in poco meno di due ore? Con un racconto cornice che inquadri il tutto continuamente riaffiorante, continuamente disatteso nella successione originaria per lasciar posto all’irruzione di altri brani. Il racconto cornice è quello  di “Qualcuno era comunista”, e lì in mezzo scorrono Il dilemma, Io non mi sento italiano, La libertà, e tutti quei brani ulcerati che sistematizzavano una realtà (individuale, collettiva),  dove “Il sogno si è rattrappito”.

CERTO, viene da ricordare anche, ad evitare l’agiografia, e a proposito di ricorrenze, che Gaber un giorno raccontò in un’intervista: “Non ho mai detto grazie a Pasolini, non mi sono mai accorto quanto fosse entrato in me”. Vero, Di Pasolini in Gaber c’è tutta la carica interrogativa ed lacerante, a costo, anche, di una raffica di parole ad alzo zero su qualunque credo che non lascia in piedi nulla, se non una solitudine piena d’echi. Come ricordava anche Goffredo Fofi. Ma l’antidoto  è un sorriso, sembra dirci Sirianni: un viaggio sulla Torpedo Blu, un brindisi a “barbera e champagne”. Sulle ali di un’impeccabile,  sorridente, commossa prova strumentale di Martini e De Mattei.